Le false avventure di Sherlock Holmes

L’eroe di Conan Doyle non muore mai. Eccolo ispirare un cowboy e affrontare il Principe delle Tenebre

Non è simpatico e non fa nulla per esserlo. Spesso risponde male, è scostante e tratta tutti con alterigia. L’uomo che ha trasformato l’indagine e la deduzione in arte, se lo può permettere. Il suo nome, il volto magro e appuntito avvolto dalla nuvola di fumo della sua pipa, l’elegante vestaglia che indossa nelle notti di veglia nello studio al 221B di Baker Street, soprattutto le sue fenomenali deduzioni lo hanno trasformato in un mito. Sherlock Holmes è vivo, immortale da quando Arthur Conan Doyle lo fece esordire con Uno studio in rosso (1887). Il dotto detective è più di una fonte d’ispirazione per un genere particolare di libri: gli apocrifi.
Chissà se a Holmes e al dottor Watson, ad esempio, piacerebbe essere coinvolti in Sherlock Holmes, Montana (Hobby&Work, pagg. 314, euro 18, traduzione di W. Santini), il fantasioso giallo western con cui Steve Hockensmith ha sfondato in America. È bastata la parola magica: «Holmes», e il libro è entrato nelle finali di tutti i premi Usa per il miglior poliziesco. E Hockensmith ha sfruttato la scia della popolarità allungando la saga e pubblicando altri due best seller - On the Wrong Track e The Black Dove - che presto vedranno la luce anche in Italia. Saga di che? Di due cowboy del Montana, i fratelli Gustav e Otto, rispettivamente chiamati Old Red e Big Red. Il primo non ha mai visto un banco di scuola, però spara da Dio (mentre Holmes nelle sue avventure ha usato la pistola solo sei volte, una delle quali contro il mastino dei Baskerville - e, per inciso, Pierre Bayard riapre Il caso del mastino dei Baskerville per Excelsior 1881, pagg. 204, euro 15,50, traduzione di Riccardo Bentsik); il secondo, l’intellettuale della famiglia, ha fatto la terza elementare.
Durante i lunghi pernottamenti all’aperto per spostare le mandrie, un cowboy tira fuori da una borsa La lega dei capelli rossi di Doyle. Old Red costringe il fratello a declamarlo una, due, dieci, cento volte. E quel libro diventa la sua Bibbia. Ispirandosi al Maestro, esamina un cadavere ridotto a pezzettini da una mandria e sbranato dai lupi. Ma sente puzza di bruciato, così si fa assumere al ranch del Dollaro Barrato, dove è nato il mistero. Old Red è testardo come un mulo e omicidi, intimidazioni, violenza non lo fanno arretrare di un passo. E poi ha un forte senso dell’onore e della giustizia che lo porta alla soluzione del caso evitando mille pericoli e piste fasulle.
La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer è il romanzo, datato 1973, che ha aperto la strada alla renaissance di apocrifi holmesiani, insieme a Sherlock Holmes contro Dracula, scritto cinque anni dopo da Loren D. Estleman. Racconto superpremiato e tradotto in 23 lingue, quest’ultimo esce in Italia soltanto ora (Gargoyle, pagg. 252, euro 13, traduzione di P. De Crescenzo). Qui Holmes incontra un essere soprannaturale, l’erede del conte Vlad Drakul, gran combattente contro l’Impero Ottomano. Tutto nasce - a voi scoprire se è finzione o realtà - dalle ricerche di Estleman il quale, studiando le origini di Holmes, scopre su un giornale il necrologio di tal Creighton T. Verner, «da molti ritenuto l’ultimo parente sopravvissuto del leggendario detective Sherlock Holmes». Le proprietà di Verner, morto povero in canna in Canada, furono messe all’asta per la gioia dei collezionisti. Estleman tornò a casa con una scatola di cartone piena di cianfrusaglie... che conteneva L’avventura del Conte sanguinario, «quasi integralmente come narrata dal Dr Watson», poi trasformata in Sherlock Holmes contro Dracula.
Stavolta Holmes se la vede davvero brutta, lambiccandosi il cervello senza capire come siano morti quei poveri esseri inermi con due buchini sul collo. Tutto cominciò nella calda estate del 1890, quando una goletta russa approdò nel porto inglese di Whitby come una nave fantasma, alberi e vele squarciate, l’equipaggio scomparso, il comandante morto, legato alla ruota del timone con un’espressione di raggelato orrore sul volto. E da lì ha origine un intrigo, con uno strano cane nero uscito chissà da dove, donne fantasma e donne impalate, bambini scomparsi, sfide mozzafiato, la moglie di Watson catturata e brutalizzata dal mostro...
Fino all’incontro con l’essere «dagli occhi rossi lampeggianti in terrificante contrasto col pallore del volto, il mantello nero che sbatteva nel vento in tempesta come ali di pipistrello». Uno scontro fra titani. E non solo fra i due protagonisti della storia, ma anche fra gli autori; il Conan Doyle che paga pegno al suo professore di anatomia Joseph Bell e l’Abraham «Bram» Stoker ispirato dall’Impalatore di Emily Gerard o dallo Zio Silas di Joseph Sheridan Le Fanu. Il Doyle che cerca di «uccidere» Holmes e lo Stoker che tenta di far sopravvivere Dracula per sempre come «principe dei non morti». Chi sarà il vincitore? E poi, sono esistiti davvero? Holmes nell’immaginario collettivo è vissuto nella casa di Baker Street, oggi meta di ininterrotte gite turistiche. E Dracula? Continua a vagare grondando sangue o, come annuncia nella dotta prefazione Paolo Zaccagnini, è un personaggio di fantasia nato dall’espressione gaelica Droch fhola, che si pronuncia drak’ola e significa «sangue cattivo?».

Oppure è una metafora dell’irlandese Stoker per parlare dell’oppressivo governo inglese, un po’ come fece Camus ne La peste parlando del nazismo? Qui comunque l’indubbio vincitore e il protagonista assoluto è Sherlock, sul quale l’insaziabile Estleman sta per pubblicare in Italia anche Sherlock Holmes contro il Dr Jekyll e di cui Enrico Solito ha pubblicato e continua a pubblicare una valanga di avvincenti apocrifi.

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