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Le famiglie investono otto miliardi nei «Pir» Ora la sfida del mattone

Il raggio d'azione esteso all'immobiliare Nessuna tassa per chi li tiene cinque anni

Ennio Montagnani

La notizia che la normativa sui Piani individuali di risparmio (Pir) sarà estesa al settore immobiliare dal 2018 ha ampliato il raggio d'azione di uno strumento che si sta rivelando sempre più apprezzato dai risparmiatori anche in virtù dei suoi elementi distintivi.

A cominciare dal fatto che il patrimonio sottostante deve essere investimento per almeno il 70% in strumenti finanziari di aziende italiane o estere europee con stabile organizzazione in Italia. Di questo 70%, il 30% deve essere indirizzato in società non presenti nell'indice di Borsa Ftse-Mib o in indici esteri equivalenti, in modo da far affluire denaro anche verso imprese medio-piccole. In pratica, almeno il 21% (cioè il 30% del 70%) del capitale dei Pir è destinato ad azioni e obbligazioni di quelle aziende di piccole e medie dimensioni che rappresentano l'ossatura manifatturiera del nostro Paese e il meglio del made in Italy conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Ora, ipotizzando che i Pir possano investire da inizio 2018 anche nel settore immobiliare, quest'ultimo beneficerà di flussi di investimento di medio lungo termine che ne sosterranno le quotazioni rendendo il settore immobiliare ancora più attraente per i risparmi delle famiglie.

D'altra parte i numeri sui Pir sono di tutto rispetto. I valori ufficiali (quelli di Assogestioni) sono ancora fermi alla raccolta netta di 5,3 miliardi di euro a fine giugno ma le ultime stime parlano già di 7-8 miliardi raggiunti e, soprattutto, di un potenziale fino a 70 miliardi nei prossimi cinque anni. In questo modo, una delle principali ricchezze del nostro paese (il risparmio) può alimentare direttamente le piccole e medie aziende e il settore immobiliare ancora troppo dipendenti dalle banche in tema di finanziamenti. Un investimento che, peraltro, può sfruttare i vantaggi fiscali studiati ad hoc per i Pir. È infatti previsto un beneficio fiscale per chi li sottoscrive e li mantiene in portafoglio per almeno cinque anni: dopo i 60 mesi scatta l'esenzione delle imposte sia sulle plusvalenze (capital gain dei titoli in portafoglio) e sia sui rendimenti (sulle cedole e i dividendi).

I Pir prevedono un investimento massimo di 30mila euro l'anno con un limite di 150mila euro complessivi ma non c'è nessun vincolo in termini di anni: per esempio è possibile investire 30 mila euro in Pir all'anno per 5 anni (per un totale di 150mila euro) ma anche 15mila euro per 10 anni. C'è un altro aspetto che può interessare: il Pir è esente dall'imposta di successione e, di conseguenza, può assumere un ruolo di rilievo nell'asse ereditario di un investitore privato.

A dieci mesi dal loro debutto sul mercato, ormai praticamente tutte le grandi case d'investimento e le compagnie di assicurazione (i Pir possono infatti essere inclusi in specifiche polizze vita) offrono un servizio con prodotti che rispettano la normativa Pir: dai grandi player della consulenza (Azimut, Fideuram e Mediolanum) alle società delle grandi banche (Aletti Gestielle, Anima, Arca, BCC Risparmio&Previdenza, Eurizon Capital, Euromobiliare, Pioneer e Ubi Pramerica), dalle case d'investimento estere (Allianz, Amundi, Axa, Credit Suisse, Fidelity, La Financière de l'Echiquier, Schroders, Syz) agli Etf (Amundi, Societè Generale e BlackRock) fino alle società di gestione medie e indipendenti (Acomea, Algebris, Anthilia Capital Partners, Duemme, Ersel, Kairos , New Millennium, Pensplan Invest, Sella gestioni, Soprarno, Symphonia e Zenit).

Infine, una raccomandazione. Come per ogni tipologia di investimento anche con i Pir è importante saper dosare quanto dei propri risparmi destinarvi.

Per scongiurare un eccessivo posizionamento è necessario rivolgersi al proprio consulente di fiducia insieme al quale approfondire le esigenze familiari (sia di tipo finanziario che previdenziale) in modo da destinare ai Pir la quota appropriata.

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