Il fantasma di Craxi sulla rotta di D’Alema

Il figlio Bobo: «Massimo mi ricorda papà». E si apre il dibattito sulle affinità tra i due ex presidenti del Consiglio. La Boniver insorge: «Ma Bettino non avrebbe mai potuto permettersi quella barca»

Luca Telese

da Roma

Certo, per Bobo è un complimento, per Lui può essere un bacio della morte. E in questa singolare «palindromia» c’è tutto il paradosso della storia della sinistra italiana, sempre costretta alla divisione e all’incomprensione: Bobo Craxi dice: «Massimo mi ricorda mio papà» con il massimo dell’affetto politico possibile, mentre qualunque militante diessino se sente dire «D’Alema è come Craxi» lo considera senza esitazione come il più crudele degli insulti possibili. Sarebbe divertente capire cosa pensa lui, «il leader Maximo» di quel paragone, da che parte lo legge questo cortocircuito associativo: come un complimento ingiurioso, o come un ruvido e dolcissimo atto d’amore.
La cosa certa è che nulla accade per caso. Bobo Craxi ha consegnato la sua dichiarazione di solidarietà politica a Stefano Cappellini de Il Rifomista, ed è stato - insomma - come entrare nel salotto buono del dalemismo di tendenza, portando in dote un mazzo di fiori e una bomba a orologeria. Perché la sovrapposizione di Massimo Bettino-D’Alema è un tormentone che da tempo aleggia sui giornali italiani. Giuliano Ferrara, che come filologo «craxiano» non ha eguali al mondo, paragona «l’esule di Hammamet» e «il deputato di Gallipoli» un giorno sì e l’altro pure. Essendo plurale e dialettico anche nei confronti di se medesimo, persino il direttore de Il Foglio segue il rintocco di polarità che divide il Paese: due giorni fa considerava quel paragone un complimento, ieri lo usava come una feroce condanna, per sigillare un invito difficile da raccogliere: «I nuovi Craxi, alleati di Di Pietro e delle Procure, dicano la verità».
Già, perché portando all’estremo il paragone, Ferrara considera che «i cinquanta milioni di euro (di Consorte e Sacchetti, ndr) sono qualcosa di simile alla provvista Enimont. Qualcosa di molto diverso da un cumulo di consulenze finanziarie. Qualcosa di molto diverso da generici “arricchimenti personali”». E cosa sono allora? L’unica parola a cui Ferrara non ricorre è il sostantivo «tangente»: ma subito dopo spiega che «questi soldi hanno preso a passare di mano quando il premier di sinistra D’Alema sosteneva i capitani coraggiosi dell’Opa Telecom, quando l’ex senatore della sinistra indipendente e avvocato d’affari della Milano che conta Guido Rossi replicò a quell’affermazione con una battuta celebre: “A palazzo Chigi funziona l’unica merchant bank in cui non si parla l’inglese”». Ha davvero ragione Bobo, è un contrappasso dantesco, e il contrappasso vuole anche questo: che oggi Ferrara usi per D’Alema la lingua affilata della deduzione logica che D’Alema usò contro Craxi ai tempi di Tangentopoli.
Anche nel resto della tribù dei craxiani doc ieri la rassegna stampa orale sull’intervista di Bobo faceva crepitare il dibattito: Margherita Boniver era fuori dall’Italia, impossibilitata ad acquistare il foglio arancione, eppure già due o tre telefonate le avevano spifferato tutto: «Ma hai letto cosa dice Bobo?». Già Bobo dice più o meno questo: «I Ds stanno subendo una legge del contrappasso», «è assurdo che qualcuno contesti loro il collateralismo con le Coop», e poi - dulcis in fundo - la frase clou: «Per il modo sprezzante con cui reagisce alla stampa, per l’autonomia da certi poteri forti, D’Alema assomiglia molto a mio padre Bettino, questo lo vedo anch’io».
Parole che alla Boniver fanno venire una punta di acidità allo stomaco: «Ma che scherziamo? Non ci sono paragoni possibili». Allora provi a ricordare alla sottosegretaria azzurra (già socialista) che nell’immaginario collettivo la barca sta a Bancopoli come lo stile di vita del Garofano e la villa di Hammamet stavano a Tangentopoli. Nemmeno per sogno, la sottosegretaria ruggisce indignata: «Ma non esiste, davvero! Bettino aveva uno stile di vita quasi frugale al confronto, la presunta “villa di Hammamet” era una casona del mare, costruita su un cocuzzolo di terra comprata per due lire, e io posso dirlo a ragion veduta: l’ho vista crescere mattone dopo mattone; la barca di D’Alema, Bettino non se la sarebbe proprio potuta permettere». E ancora: «Craxi fu criminalizzato, linciato, messo al bando, inchiodato insieme alla storia del socialismo italiano al nome di Mario Chiesa: di che si lamenta D’Alema? Al confronto le accuse in punta di piedi, i colpi di fioretto, le piccole polemiche sul collateralismo e sul “potevano dissociarsi” da Consorte, sembrano un affettuoso buffetto».
Così questo cortocircuito di simboli lo puoi davvero leggere in due modi: per Bobo è una piccola Bad Godesberg, il punto di approdo di un lungo cammino politico coronato dalla scissione del Nuovo Psi e il ritorno alla casa madre del centrosinistra. Per Massimo-Bettino-D’Alema è l’ennesima stazione della tortuosa via crucis che segna la sua exeità di postcomunista. Ieri Bobo spiegava che D’Alema non si è fatto sentire, non lo ha chiamato né per congratularsi né per protestare. Ma aggiungeva: «Bancopoli dimostra solo una cosa: il dissidio insanabile fra socialisti e comunisti degli anni Novanta era tutto sbagliato, fondato sul mito della diversità comunista.

In realtà la diversità non è mai esistita, l’unico “diverso” era Berlinguer, il resto era solo una bandiera per il popolo della sinistra». Ma se fosse davvero così - forse - D’Alema lo avrebbe chiamato per ringraziarlo.

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