Ogni volta che a Gianfranco Fini è stato chiesto cosa intenda per destra moderna di cui ha il marchio per il Belpaese, ha risposto: il modello Nicolas. Si riferiva ovviamente a Sarkozy, il presidente francese, di cui però è l'opposto umano. Nicolas è tumultuoso e peperino, Gianfry uno stoccafisso congelato. Ma, fatta la tara sulle diversità, pareva che tra i due prevalessero le affinità. Fini ammirava di Sarkò l'ampiezza di orizzonti democratici, la capacità di integrare le genti nella società francese, la laicità, la libertà dai tabù in tema di famiglia, religione, vita e morte. Nicolas era il nuovo eroe che aveva sostituito a Jean-Marie Le Pen, il fascista amico del suo maestro Giorgio Almirante, dopo una cotta durata un buon decennio.
Tutto bene, fino ai giorni scorsi. Ora però, Sarkozy si è fitto in capo di cacciare i rom che abitano nelle baraccopoli periferiche e vivono di espedienti. Sono già centinaia i campi illegali smantellati in Francia, i gendarmi armati di matraque sono in piena attività, l'avantindré tra città e le frontiere della Francia procede a ritmo serrato. L'Ue protesta e paragona le espulsioni alle deportazioni naziste. Ma Sarkozy risponde a brutto muso e tuona: «Nessuno mi impedirà di fare l'interesse dei francesi». E nei sondaggi, che fino a poco fa erano in picchiata, il presidente è risalito in una settimana di quattro, cinque punti.
E Fini che fa? Sarkozy è ancora il suo modello, rappresenta ancora la destra moderna cui si ispira? Vattelapesca. Gianfry tace, né più né meno di come fa per l'appartamento monegasco. Ha eletto il silenzio a suprema virtù politica. Ma forse ha già ripudiato Sarkozy e pensa di avvicinarsi all'inglese Cameron, l'altro emergente della destra europea? No. Perché anche lì -come si dice- non c'è trippa per gatti. Pure il premier britannico ha infatti appuntito le armi contro l'immigrazione selvaggia. «Diventare cittadini del Regno Unito è un privilegio, non un diritto», ha detto appena insediato a Downing Street numero 10, condannando «la politica laburista che ci ha lasciato in eredità un livello di immigrazione insostenibile». E senza perdere tempo ha cominciato a espellere i molti afgani che negli ultimi anni si sono rifugiati nel Regno.
Fini, dunque, è rimasto solo. È l'unico dei tre alfieri della modernità conservatrice nel non voler vedere nell'immigrazione un problema, a insistere per tenere aperte le frontiere, facilitare la cittadinanza. Allora delle due l'una: o Fini ammette che la destra, anche moderna, deve assumere le proprie responsabilità di fronte agli ingressi illegali come fanno Cameron e Sarkozy, o prende atto che la sua posizione non è di destra ma banalmente di sinistra. Di quella sinistra che non guarda in faccia i problemi, ma li rinvia crogiolandosi nelle parole, nei buoni sentimenti, nell'elitarismo di chi vive nei quartieri bene, lontani dalla milanese Via Sarpi e dalle varie Chinatown d'Italia. Salvo fare mea culpa dieci anni dopo.
Il problema di Gianfry è di non avere mai avuto un'effettiva responsabilità di governo, quella che ti mette di fronte alle esigenze vere delle persone. Ministro degli Esteri o presidente della Camera, Fini ha sempre vissuto nei Palazzi, tra feluche e commessi in polpe. Le sue teorie e piroette politiche sono sempre nate e cresciute nella bambagia dei privilegi. È facile accusare il ministro dell'Interno, Maroni, il Cav o Bossi di ottusità e perfidia se propendono per maggiore severità sull'immigrazione sregolata e clandestina. Ma se lo fanno, non è per una tara mentale o cuore di pietra. Sono sul campo, stanno tra la gente, leggono i rapporti e le statistiche. E tutto dice che a lasciare correre si finisce male e si snatura il Paese. La differenza tra i tre della destra moderna, è che Fini parla in astratto e non risponde a nessuno. Cameron e Sarkozy, al contrario, governano e dipende da loro il benessere o la decadenza della Nazione di cui hanno la responsabilità.
Vedremo in futuro come Fini assorbirà il trauma del decisionismo sarkoziano verso gli stranieri sgraditi. Intanto si è affrettato a dire che anche lui è d'accordo sul divieto di indossare il burka che il medesimo Sarkò introdurrà a casa sua. Potrebbe essere un segno di resipiscenza, un ritorno all'idea che il Paese ospitante può e deve imporre agli ospiti le proprie regole. Un riallineamento della nuova destra - ora in periclitante nella versione caldeggiata da Gianfry - su alcuni punti fermi. Non penso però che sia così. Fini è d'accordo sul burka solo perché lo è anche la sinistra europea: il Belgio socialista ha già deciso in maggio e all'unanimità per il divieto.
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