Patricia Tagliaferri
da Roma
Macchinisti «costretti» a disattivare i sistemi di sicurezza a bordo dei treni per andare più spediti, per poter procedere a vista rendendo più fluido il traffico della metropolitana. Espedienti che avrebbero consentito negli ultimi mesi alla metro di Roma di migliorare il servizio, facendo viaggiare un convoglio ogni 90 secondi invece che ogni tre minuti, come accadeva fino a qualche tempo fa. In attesa dei risultati ufficiali dellinchiesta della magistratura, cè chi si è fatto unidea piuttosto chiara su cosa può essere accaduto martedì mattina alla stazione Vittorio Emanuele. È un macchinista della capitale, uno che ogni giorno attraversa la città alla guida di convogli uguali a quelli che si sono scontrati due giorni fa. E che avverte: «Quanto accaduto potrebbe risuccedere anche domani, anche oggi, anche in questo momento». La sua testimonianza, tutelata dallanonimato («Perché ci è stato imposto il silenzio»), è stata raccolta dallagenzia di stampa Dire, nata come organo di informazione dei gruppi parlamentari del Pci ma oggi di proprietà di un editore privato. «Negli ultimi mesi - racconta il macchinista - è aumentato il servizio a discapito della sicurezza. Da un po di settimane camminano sulla linea A circa 33 treni contemporaneamente. Il servizio è migliorato, perché viaggia circa un treno ogni 90 secondi, mentre prima cera un treno ogni tre minuti. Viaggiare con questi ritmi, però, significa disattivare il sistema di sicurezza, denominato train stop, a bordo dei treni. Quando iniziamo il servizio troviamo i sistemi già puntualmente disattivati». Una versione scomoda, la sua, che potrebbe faticare a venire a galla. «Stanno nascondendo la verità - denuncia - e io e la stragrande maggioranza dei miei colleghi siamo convinti che faranno sparire anche le registrazioni dellincidente». Il macchinista ricostruisce così la dinamica dello scontro: «Il sistema prevede due semafori tra una stazione e laltra. I rossi, di fatto, sono sempre permissivi, per far stare i treni in orario. Se un macchinista non vede o buca il primo segnale rosso e continua, cè il secondo, e se si supera anche quello il treno dovrebbe fermarsi automaticamente. Di fatto, però, non avviene perché col sistema disattivato si chiama la centrale che dà sempre lok e a quel punto si naviga a vista. Il secondo rosso non dovrebbe essere mai permissivo ma imperativo: una volta superato, non puoi sapere dove si trova il treno che ti precede, se è avanti di cento o di dieci metri. Ed è quello che è successo martedì». Quasi impossibile, a quanto pare, per un macchinista, decidere di non disattivare il sistema di sicurezza a bordo: «Lo stress diverrebbe insostenibile. Se, per esempio, marciamo troppo lentamente mentre navighiamo a vista, via radio ci chiamano lumaca e ci invitano a procedere più velocemente perché stai ammucchiando tutti i treni dietro». Ma il macchinista sa già che tutto ciò difficilmente verrà alla luce. «Alla fine - dice - la responsabilità di quanto avvenuto la daranno al nostro collega. Met.Ro ci costringe a fare quello che facciamo per il tipo di contratto che ha con il Comune e per mostrarsi efficiente. Tutti sapevano e sanno che prima o poi sarebbe successo qualcosa, ma sono convinti che il rischio valga la candela. E la cosa più grave è che le indicazioni non sono cambiate nessuno ci ha detto di attivare i sistemi di sicurezza». Cè poi la testimonianza di un altro conducente, un veterano della categoria. Anche lui vuole rimanere anonimo. Ricorda chiaramente che la vettura 311, la stessa che ha tamponato il convoglio fermo ebbe un guasto ai freni nel collaudo. Ma Met.Ro.
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