Cultura e Spettacoli

Fare i conti con la storia di nonno Alessandro

«Non sapevo che mio nonno fosse un gerarca fascista fucilato a Dongo fino a quando non mi sono imbattuto in una fotografia sul libro di storia della seconda media». Inizia così il circospetto ritratto che Lorenzo Pavolini dedica al nonno Alessandro. Accanto alla tigre (Fandango, pagg. 243, euro 16,50) segue le tracce di una delle figure centrali del Ventennio.
Alessandro Pavolini era, per tutti, il «superfascista». Squadrista della prima ora, vice-federale di Firenze, giunse a capo del ministero della Cultura popolare, il Minculpop delle veline, dei cinegiornali e delle dive di regime. La più nota delle quali, Doris Duranti (primo o secondo seno nudo nella storia del cinema italiano: a contenderle il primato la rivale Clara Calamai), divenuta sua amante, gli rimarrà al fianco fino agli ultimi giorni. Fra l’altro Pavolini, a differenza di quanto accadrà alla coppia Petacci-Mussolini, poco prima di essere fucilato dai partigiani riuscirà a far espatriare la Duranti in Svizzera.
Sono passati più di sessant’anni, anche l’Età di Eschilo e di Sofocle è tramontata da un pezzo e Lorenzo Pavolini sa bene che non basta essere il nipote di un massacratore (il nonno fu anche questo) per rivendicare il diritto di sentirsene contaminato. «Ormai le colpe dei padri non ricadono più sui figli, figurarsi sui nipoti...». Ciò non toglie che avere una tale cartina tornasole in casa permette di dedicarsi a una variante del gioco delle vite parallele: quella in cui uno scrittore (quindi un’entità moralmente autorevole, quanto socialmente marginale) scruta dall’alto in basso un potente, un uomo di Stato. È solo un’impressione che Accanto alla tigre appaia così ben provvisto del medesimo biografismo autobiografico riscontrabile, per esempio, nel Duca di Mantova di Franco Cordelli? Sta di fatto che si entra nel vivo della narrazione non già quando, dopo l’8 settembre 1943, Alessandro comincia a incassare rifiuti (uno fra cento: il funzionario che respinge l’invito a diventare ministro della Repubblica Sociale gridando al telefono «toglitelo dalla testa, io sono un fascista monarchico, non farti più vivo»).
Accanto alla tigre comincia invece mezzo secolo dopo, la sera in cui Lorenzo si imbatte in una scritta neofascista: «Pavolini eroe». Alla prossimità genetica si aggiunge quella geografica: scoprirà che la sua abitazione non è distante dal «triangolo delle Bermude dell’estrema destra romana», i cui vertici sarebbero il centro sociale «Casa Pound», la libreria «Testa di ferro» e il pub «Cutty sark». E ci sono, poi, gli amici scrittori fra i quali emergono, per singolarità, Aurelio Picca («Pavolini irriducibile non in quanto fascista, ma perché legato alla struttura biologica italiana. “Era un etrusco”. Capito?») e Fulvio Abbate («Scrivi di tuo nonno come se fosse Frankenstein»). Per entrambi, una parentela tanto rumorosa equivale a un imperativo: quello di scrivere.

Cioè in questo caso di «fare i conti» (eventualmente tagliare i ponti) con un avo così ingombrante.

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