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Ma fare una scuola non è dare una mazzetta

FIDUCIA I nostri soldati si sono conquistati sul campo la stima di alleati e popolazione

Ma fare una scuola non è dare una mazzetta

Le reiterate accuse del Times potrebbero indurre l’opinione pubblica a pensare che i tanti, bei servigi resi dai soldati italiani alla popolazione afghana, nascondano finalità diverse da quelle umanitarie. Ovvero, per parlare chiaramente, che la costruzione di una casa, di un reparto ospedaliero o la distribuzione di cibo non siano altro che un’immensa mazzetta per proteggersi dal rischio di un attentato. E spingendo il ragionamento, si potrebbe pensare che per ottenere il controllo del territorio, in fondo, non sia necessario inviare decine di migliaia di soldati, basterebbe accordarsi con i capi tribù e dislocare una manciata di inoffensivi caschi blu per verificare il rispetto degli accordi.
Ma la realtà è ben diversa. L’Italia ha una lunga esperienza di missioni di peacekeeping e tutte, tranne quella dei primi anni Novanta in Somalia, coronate da successo come in Libano, Kosovo, Irak, conquistando la stima degli alleati e il riconoscimento della gente del posto. Non tutti i partner occidentali, tra l’altro, possono vantare risultati analoghi.
L’approccio italiano funziona perché realistico, pratico, nella consapevolezza che non basta esibire carri armati per controllare una zona. Anzi. La fiducia si ottiene in altro modo, tentando di interagire con i locali e creando una rete di contatti anche con i potenziali nemici.
Gli italiani, così come gli stessi inglesi o i francesi, hanno pagato qualche talebano? Anche se lo avessero fatto non sarebbe stato certo alla stregua di una polizza contro gli attentati, bensì per ottenere la complicità degli informatori e prevenire le mosse dei terroristi, sborsando sempre somme limitate. Chi non lo fa corre rischi molto elevati.
È il gioco sporco dell’intelligence e del controspionaggio, come ha ricordato in queste ore, tra gli altri, il generale Fabio Mini, ma va considerato nella sua giusta proporzione, che è minima rispetto all’entità delle risorse impegnate nella missione in Afghanistan. Pagare per le informazioni è un conto, sborsare il pizzo un altro. E fino ad oggi non sono emerse prove a sostegno delle accuse del Times, che si basano su fonti anonime e sono state smentite con forza dal nostro governo.


Certi scoop sono infamanti e perseguono finalità che nulla hanno a che vedere con l’Afghanistan. Non possono e non devono infangare l’operato di un esercito che ha pagato un prezzo alto, in vite umane, e che nessuno può accusare di inefficienza e tanto meno di slealtà.

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