Molnupiravir, farmaco anti-Covid ha creato varianti? Cosa dice lo studio

Un farmaco anti-Covid ampiamente utilizzato soprattutto nelle fasi critiche della pandemia potrebbe aver generato varianti dello stesso virus: ecco la scoperta degli scienziati e cosa è accaduto nei Paesi che lo hanno utilizzato maggiormente

Molnupiravir, farmaco anti-Covid ha creato varianti? Cosa dice lo studio
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Esattamente due anni fa, in piena pandemia Covid-19, il farmaco Molnupiravir ha avuto il merito di dimezzare ricoveri e decessi come abbiamo visto su ilGiornale.it. Lo stesso antivirale, però, sarebbe l'indiziato principale per una specifica mutazione del Sars-CoV-2 secondo uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Da qui, il timore che possa causare nuove varianti di quello che, ormai, a tutti gli effetti, non è certamente più il virus letale di 24 mesi fa.

Cosa dice lo studio

Se da un lato la maggior parte delle mutazioni risultano deleterie per il virus stesso e "gli elevati tassi di mutazione indotti da Molnupiravir riducono la carica virale - spiegano gli scienziati - se alcuni pazienti trattati con Molnupiravir non eliminano completamente le infezioni da SARS-CoV-2, potrebbe esserci il rischio di trasmissione successiva di virus mutati dal farmaco". Il Lagevrio (nome del marchio) è stato progettato perché riesce a distruggere l'infezione virale anche se, in alcuni pazienti, può riuscire a sopravvivere al trattamento creando, in casi rari, versioni mutate che possono diffondersi.

Fino a questo momento, però, non esistono prove che il Molnupiravir abbia creato varianti più pericolose del Covid ma gli esperti hanno detto che le mutazioni sono state in grado di aumentare la diversità genetica del virus creando potenziali opzioni maggiori per il futuro. "Le persone hanno alcune preoccupazioni riguardo al Molnupiravir e in un certo senso questo le rende più concrete", ha dichiarato al The Guardian il dottor Theo Sanderson, autore principale dello studio e ricercatore post-dottorato presso al Francis Crick Institute di Londra. "Sappiamo che questi virus possono essere ancora vivi dopo un numero significativo di mutazioni e in alcuni casi possono ancora essere trasmissibili".

La scoperta è stata fatta grazie a un enorme database che contiene oltre 15 milioni di genomi di Sars-CoV-2 e, dopo particolari mutazioni nelle sequenze registrate lo scorso anno, si sono accorti che potrebbero esserci legami con questo farmaco. Molti dei Paesi in cui sono state identificate hanno segnalato che il Molnupiravir è stato ampiamente utilizzato: tra questi annoveriamo Regno Unito, Australia, Stati Uniti e Giappone. Invece, nazioni che ne hanno fatto un uso più scarso e marginale hanno visto mutazioni inferiori nelle sequenze che sono state analizzate.

In ogni caso non c'è da fare alcun allarmismo, e i motivi sono due: man mano che il Covid ha generato varianti, queste sono sempre risultate meno pericolose del virus "originale" e non ci sono ancora prove che il farmaco abbia implicazioni dirette in queste mutazioni. "La firma è molto chiara ma non esistono varianti ampiamente diffuse che la riportino. Al momento non c’è nulla di trasmesso in modo così ampio che sia dovuto a Molnupiravir", sottolineano gli scienziati.

MSD, il produttore di Molnupiravir, ha dichiarato che il farmaco limita la replicazione virale riducendone la diffusione e che, a sua volta, viene ridotto rischio di trasmissione. "Gli autori presumono che queste mutazioni fossero associate alla diffusione virale da pazienti trattati con Molnupiravir senza prove documentate di tale trasmissione.

Invece, gli autori si affidano ad associazioni circostanziali tra la regione da cui è stata identificata la sequenza e il periodo di raccolta della sequenza nei Paesi in cui Molnupiravir è disponibile per trarre le loro conclusioni".

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