Economia

Il faro della Fed sulla bolla immobiliare

Rodolfo Parietti

da Milano

Finora, aveva scelto di non prendere di petto un problema così spinoso, evitando accuratamente di accostare al settore immobiliare la parola «bolla». Ma ieri, al meeting annuale di Jackson Hole, Alan Greenspan ha rotto gli indugi: «La Fed sta seguendo con più attenzione l’andamento (al rialzo, ndr) dei prezzi degli asset», ovvero immobili e titoli azionari. Insomma, il problema esiste. Ed è in parte alimentato dalla fiducia che i rischi economici siano bassi e in parte dalla falsa convinzione che questi rialzi siano strutturali. Non è così, ha detto Greenspan. «Non va data per scontata la stabilità economica attuale», né va dimenticato che «una liquidità abbondante può svanire rapidamente se gli investitori diventassero più cauti e chiedessero un più alto premio di rischio per i prestiti».
Un avvertimento importante, quello del numero uno della banca centrale Usa che - salvo proroghe - si farà da parte nel gennaio 2006 dopo aver regnato per 18 anni. Ma si tratta di un monito che arriva con colpevole ritardo, secondo i detrattori di Greenspan. Che non gli hanno perdonato il modo con cui ha condotto la politica monetaria un paio d’anni fa, quando l’ossessione deflazionistica aveva convinto Greenspan a schiacciare il costo del denaro all’1%, il livello più basso dal 1958.
Se il taglio dei tassi nel periodo post Twin Towers era considerato un atto dovuto per preservare il Paese da una recessione di proporzioni inimmaginabili, non altrettanti consensi aveva strappato quel ripetuto azionare verso il basso delle leve dei tassi. Da quel momento, accusano i detrattori di Greenspan, ha cominciato a gonfiarsi la bolla immobiliare, con un progressivo lievitare dei prezzi delle case privo di alcun fondamento se non quello - pericolosissimo - che il denaro a buon mercato incoraggiava chiunque a far debiti.
Adesso Greenspan comunica che il faro della Fed è puntato sul rialzo dei prezzi. Un fenomeno che potrebbe indurre l’istituto di Washington ad alzare in maniera più aggressiva i tassi.

Operazione delicata, anche in considerazione del forte calo della fiducia dei consumatori (a quota 89,1 punti in agosto dai precedenti 96,5) legato all’ascesa dei prezzi petroliferi.

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