Cultura e Spettacoli

Farrell e Foxx s’infiltrano tra i narcos della Florida

Nella storia mozzafiato di «Miami Vice», costato 135 milioni di dollari e ambientato in una Los Angeles caotica e desolata, anche una Gong Li donna d’affari sexy

Cinzia Romani

da Locarno

Rieccoli, i due di Miami. Rieccole, la Ferrari e Los Angeles, belle creature unite dalla corsa dietro ai narcotrafficanti e alle donne da capogiro. Risvegliati dalla martellante regia di Michael Mann, regista classe ’43, che ora firma Miami Vice, film d’azione ispirato alla celebre serie tv da lui progettata e prodotta nel 1984, Crockett Sonny (Colin Farrell) e Ricardo Tubbs (Jamie Foxx) sono tornati. Nell’ottima compagnia della Garbo asiatica, di quella Gong Li, già musa di cineasti cinesi impegnatissimi e qui per la prima volta nei panni di una (apparentemente) spietata donna d’affari sexy. Proiettato in anteprima europea al 59° Festival internazionale del film di Locarno, questo prodotto degli studi californiani Universal, costato la bellezza di 135 milioni di dollari, sfoggia tutti gli elementi-base che fecero la fortuna del telefilm seriale tanto seguito negli anni Ottanta. Stavolta, però, nell’epoca dei traffici sporchi globali, Crockett e Tubbs non vestono soltanto Armani, né hanno quasi più nulla della spensierata strafottenza di un tempo. Anche perché il gioco s’è fatto più duro: c’è da inseguire, tra la splendida baia cubana e quella non meno strepitosa di Los Angeles, gentaccia che traffica in tutto il mondo. Non a caso i due si infiltrano, sotto falsa identità, in un’organizzazione di narcos della Florida meridionale, alfine di smantellarla. Per meglio indagare essi devono spingersi comunque al limite della legalità, nell’incerto terreno fangoso tra bene e male, dove vengono rimessi in discussione i fondamenti delle loro stesse identità. Fotografata benissimo, nella sua densa cupezza metropolitana, Los Angeles, con i grattacieli bianco latte e le mille luci che a sera sembrano tanti fuochi fatui di un’ardente disperazione contemporanea, finisce col diventare essa stessa coprotagonista di questa incalzante ballata in 35 millimetri. Come in Collateral, con Tom Cruise, dove Michael Mann spingeva il pedale di una solitudine urbana accattivante nella sua eleganza, anche in Miami Vice la squadra capitanata da Crockett e Tubbs vive come in una bolla tesa a esplodere in faccia ai peggiori delinquenti. Né alleggerisce il pathos narrativo, dove non sai se ammirare di più gli slanciati motoscafi on the bay o i prestanti piedipiatti che li pilotano, qualche sequenza al night, con Gong Li-Isabella che si allaccia a Colin Farrell al ritmo di salsa, in un vertice di sesso e amore. Magari, a serrare il ritmo di Miami Vice avrà anche influito il fatto che, durante le riprese a Santo Domingo (che simula Cuba) s’era abbattuto l’uragano Katrina. O forse è soltanto la resa visiva del male a noi contemporaneo, aiutato a diffondersi dalle connessioni veloci e dai piccoli computer argentati, con cui qui i criminali controllano i propri scambi illeciti. Fatto sta che, quando Isabella sibila al povero Sonny, pazzo di lei: «Non ho bisogno di un marito per avere una casa», il pensiero corre alle tante ragazze incanaglite che girano intorno a noi con gli affari in testa, però non di cuore. Nel film le donne sparano più dritto degli uomini e rischiano l’osso del collo più spesso di loro, come fa una poliziotta di colore (la bravissima Naomie Harris) che finisce in coma per via del proprio attaccamento al lavoro.

E questo lavoro qual è? «Noi spariamo e arrestiamo gente», spiega Sonny a Tubbs.

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