Il farro La «pastasciutta» dei romani

Piatto rituale romano di antichissima origine, il farro, dai tempi di Romolo e Remo, si è tramandato fino ai tempi nostri in una minestra romanesca chiamata «Faricello» che, tuttavia, oggi consumano soltanto quei rarissimi autentici e vecchi romani.
Il farro faceva parte della dieta quotidiana dei nostri antenati. Parlare di farro a un romano antico sarebbe stato un po’ come parlare di pastasciutta a un italiano di oggi. Prima che si scoprisse il frumento (dalla più facile coltivazione e dalla resa maggiore), il cibo base nell’alimentazione delle popolazioni arcaiche era appunto questo cereale, originario della Palestina. Attraverso gli scambi commerciali venne esportato anche in Egitto, tanto che, nelle tombe dei faraoni, ne sono state scoperte diverse quantità. Fu intorno all’VIII secolo a.C. che, nella penisola italica, prima gli Etruschi e poi i Romani, cominciarono a coltivarlo largamente per farne un uso quotidiano. La spiga, infatti, cresce con facilità anche su terreni poveri e in climi freddi. Tuttavia la sua raccolta è difficoltosa perché i chicchi cadono a terra durante la maturazione.
Così prezioso e stimato, il farro, da essere utilizzato come merce di scambio e come offerta votiva agli dei. Partecipava anche al rito del matrimonio, la «Confaerratio», in cui la forma sensibile della cerimonia, per i due sposi, consisteva nello spezzare e consumare insieme una focaccia di farro.
Si dice che il l’Impero romano fu fatto più con il farro che con il ferro. In effetti fu il «carburante» energetico grazie al quale le legioni romane poterono conquistare il mondo. Il farro infatti era la base dell’alimentazione militare. Ai legionari ne veniva distribuiva mensilmente una certa quantità, il cui valore veniva detratto dalla paga. I soldati partivano per la guerra con un pugno di questo cereale nella bisaccia, masticandone i chicchi durante la marcia. Al momento di allestire la cena da campo, li macinavano grossolanamente per bollirli in acqua e latte. Vi si potevano mescolare delle frattaglie, come le cervella di maiale, vino, pepe pestato e sale. Il risultato era una polentina chiamata «puls».

Era invece detta «libum» la focaccia che i legionari preparavano con lo stesso alimento. La ricetta si può facilmente riproporre in casa: impastare farina di farro, ricotta di pecora, miele, sale e olio e cuocere le focaccine in una teglia foderata con foglie di alloro.

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