Cultura e Spettacoli

Il fascino indiscreto del "Quinto Potere"

Col Giornale il film-cult di Sidney Lumet per rivivere la storia dell'allucinato anchorman della UBS di Los Angeles, Howard Beale. Una feroce parodia del mondo della televisione, dei cui artefici espone il cinismo e la totale mancanza di sensibilità morale

Il fascino indiscreto del "Quinto Potere"

Michele Santoro, recentemente, ci ha provato a fare l'Howard Beale, l'allucinato anchorman del film «Quinto Potere». Ma, a differenza di Peter Finch (il protagonista della pellicola di Sidney Lumet), Santoro è stato preso a fischi e pernacchi. Santoro, per una bega personale col direttore generale della Rai, Mauro Masi, aveva chiesto agli italiani di affacciarsi alla finestra e di urlare «Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!» (frase-cult pronunciata in «Quinto Potere» da migliaia di telespettatori). A Santoro, invece, non se l'è filato nessuno. Forse perché non ci sono più i giornalisti-santoni di una volta.

Per quanti volessero rinfrescarsi la memoria, l'occasione offerta dal Giornale è ghiotta: l'acquisto di a 9,90 euro del dvd del film «Quinto Potere». La storia è quella di Howard Beale, commentatore televisivo stanco e sfiduciato dalla UBS di Los Angeles, una importante rete nazionale appena acquistata da un'altra società, viene licenziato con un preavviso di due settimane, dopo undici anni di presenza sui teleschermi. L'indice di gradimento della sua trasmissione è sceso troppo. Tuttavia, prima di congedarsi e senza preavvertire colleghi e superiori, Beale annuncia in diretta il proprio suicidio, che avrà luogo - dice - fra una settimana. Scoppia uno scandalo: Beale viene costretto a smentire il suo sensazionale annuncio il giorno dopo, durante una trasmissione in cui rivela ai telespettatori, con un linguaggio piuttosto greve, il proprio licenziamento.

Diana Christensen (Faye Dunaway), giovane e rampante responsabile dei programmi (fra i quali tuttavia non sono inclusi i notiziari) fiuta l'affarone; Frank Hackett (Robert Duvall), proconsole dei nuovi padroni nella UBS, l'appoggia mentre Max Schumacher (William Holden), amico e superiore diretto di Howard, perde il posto per essersi rifiutato di accettare il massacro intellettuale del medesimo (si consola tuttavia divenendo l'amante della nuova star del management della rete: Diana Christensen). In un rivoluzionario giornale-spettacolo, messo insieme cinicamente da Diana, sotto la cui direzione sono passate anche le trasmissioni di cronaca, il presentatore diventa l'ascoltatissimo "pazzo profeta dell'etere" (ma in inglese mad può anche significare "incazzato", in riferimento alle stesse parole che aveva proferito in precedenza). Le sue feroci critiche, mentre entusiasmano il pubblico, allarmano i vertici e il presidente della UBS, Arthur Jensen (Ned Beatty), con il quale il subordinato Hackett ha uno stretto legame, induce il divo a propagandare la sottomissione al sistema.

L'UBS, che aveva visto le sue sorti brillantemente risollevatesi grazie all'alto share di ascolto raggiunto dalla trasmissione, un po' pazzoide e di stampo anarchico-rivoluzionario, di Howard (e quindi un forte incremento delle relative entrate pubblicitarie), subisce un nuovo, lento declino; ma Jensen, che ha personalmente convinto Howard a cambiare indirizzo (nei contenuti, non nella forma) non recede dalla linea: Howard deve continuare il suo show, anche se calano gli ascolti. Diana, Frank e gli altri responsabili della rete decidono che l'unica possibilità di salvezza per l'UBS sta a questo punto nell'eliminazione fisica di Howard, della quale incaricano alcuni componenti di un gruppo terroristico specializzato in rapine e rapimenti, che erano stati scritturati dalla stessa Diana per fornire alla rete le riprese in diretta dei loro assalti. Durante il suo show, due killer del gruppo sparano ad Howard uccidendolo.

Il commento finale è affidato alla voce fuori campo, che ha sempre, discretamente, accompagnato le vicende del film: «Questa è la storia di Howard Beale, il primo caso conosciuto di un uomo che fu ucciso perché aveva un basso indice di ascolto.»
Il film è una feroce parodia del mondo della televisione, dei cui artefici espone il cinismo e la totale mancanza di sensibilità morale. Bersaglio particolare è Diana Christensen, talmente calata nel mondo irreale della TV e nelle sue mire di carrierista, da arrivare a sproloquiare di palinsesti e di prospettive delle prossime trasmissioni persino durante i frenetici ma brevissimi amplessi con il suo maturo amante, uno stralunato ed irriconoscibile William Holden, il cui personaggio, Max Schumacher, ha nel film l'unica funzione di porre in maggior risalto il cinismo e la TV-dipendenza di Diana. Il commento finale della voce fuori campo, di cui si è detto, sdrammatizza la situazione, conferendo all'ultimo momento alla vicenda un'aura di presa in giro.


Ma, diciamo la verita, Michele Santoro fa molto più ridere.

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