Non avremmo mai dovuto leggere la storia di Camilla, Mata Hari del Ventennio. Non perché sia falsa: perché è vera. Un vero giallo, nellItalia di Mussolini: quanto di più impubblicabile, per un regime che non ammette neanche quelli inventati. Gli amanti del genere devono accontentarsi di storie ambientate in qualche immaginario stato balcanico o magari in America, meglio se con qualche straniero eccentrico, tanto per chiarire che è roba da inglesi che mangiano cinque volte al giorno, lontanissima dalla sana civiltà italiana. Al massimo, può essere italiano linvestigatore, come il commissario De Vincenzi di Augusto De Angelis. Una censura così opprimente da convincere anche gli scrittori contemporanei. «Il giallo italiano - scrive Alberto Savinio - è assurdo per ipotesi. Gli manca, et pour cause, il romanticismo criminalesco del giallo anglosassone. Le nostre città tuttaltro che tentacolari e rinettate dal sole non fanno quadro al giallo né può fargli ambiente la nostra brava borghesia. Dove sono i mostri della criminalità, dove i re del delitto?». Sotto il suo naso. Perché basta la realtà, il più delle volte, a fare giustizia dei pregiudizi.
Lo sa bene uno storico controcorrente come Lorenzo Del Boca: è lui a rivelarci, sessantanni dopo, Il segreto di Camilla (Utet, pagg. 144, euro 15). Ovvero una spy-story con tutti i crismi: dalle informazioni «più che riservatissime», come dice lo scandalizzato pubblico ministero del tribunale speciale, passate al nemico francese, allavventuriera con i suoi sciagurati amanti. Il primo, lamore della sua vita, Francesco Traviglia, inizia Camilla ai misteri dello spionaggio; il secondo, lanziano avvocato Vittorio Amadeo, per la verità assomiglia piuttosto al marito ingannato delle pochade (e infatti è lunico che viene assolto al processo, più per stupidità acclarata che per provata innocenza). Senza dimenticare il più sfortunato di tutti: quellUgo Traviglia che subentra al fratello nel ruolo di informatore di Camilla non per amore ma per soldi (ovvero per pagare i debiti di famiglia, non certo per fare la bella vita) ed è lunico che ci lascia la pelle, in quanto sottufficiale della Marina, e quindi destinato inevitabilmente alla fucilazione. In questo, la vera Mata Hari della situazione è lui.
Anche perché Camilla Agliardi è tuttaltro della femme fatale, «corpo di pantera, pelliccia di petit gris, strani occhi pieni di ambra, accento inidentificabile come hanno le donne dOriente», che piace ai lettori del tempo. Non è bellissima - ha la faccia della piccola fiammiferaia, secondo il suo biografo - e tantomeno capace di suscitare grandi passioni. Infatti i suoi amanti la lasciano, il primo per stanchezza, il secondo per non essere coinvolto nella sua rovina.
Del Ventennio, quella di Camilla è una storia esemplare. Di quellItalietta senza troppi soldi - sul fatale treno da Montecarlo Camilla estrae dalla borsa il termos del tè e i tramezzini, altro che champagne sullOrient Express - ma in compenso con tanta pruderie piccolo borghese, tra la famiglia e lamante, il lavoro e il casino, la tessera del partito e le astuzie per bigiare il sabato fascista.
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