
Il contropiede di Vladimir Putin è scattato subito dopo il vertice dei volenterosi che da Kiev gli chiedevano un cessate il fuoco di 30 giorni «senza condizioni». Il presidente russo ha rilanciato già sabato proponendo negoziati diretti con l'Ucraina, a partire dal prossimo giovedì in Turchia, mediati dall'omologo Recep Tayyp Erdogan. Una mossa a cui la Casa Bianca ha risposto facendo buon viso a cattivo gioco e consigliando a Zelensky di accettare l'invito. Anche per capire quali siano le vere intenzioni del Cremlino. Intenzioni che verranno valutate anche dal segretario di Stato Marco Rubio atteso ad Ankara a partire dal 14 maggio.
Ma per capire questa complessa partita a scacchi bisogna partire dalla richiesta di cessate il fuoco «incondizionato» indirizzata a Mosca dal presidente francese Emmanuel Macron d'intesa con il neo cancelliere tedesco Friedrich Merz, il premier britannico Keir Starmer e il polacco Donald Tusk. Una richiesta sottoscritta dopo mesi di divisioni e scontri anche dalla Casa Bianca. L'inattesa saldatura del fronte atlantico ha fatto capire a Putin che la pazienza di Donald Trump era al limite. A quel punto il presidente russo non è andato per il sottile. La telefonata con cui ha chiesto a Recep Tayyp Erdogan la sua mediazione è apparsa subito una «conventio ad excludendum» nei confronti di Trump. Con quella mossa Putin - oltre a relegare in secondo piano Washington - disinnescava la richiesta di cessate il fuoco «incondizionato» e la sostituiva con la ben più attraente offerta di negoziato diretto tra lui e Zelensky. Ma la scelta di Erdogan come mediatore rappresenta anche un punto di forza rispetto agli scarsi risultati conseguiti fin qui da Steve Witkoff, l'inviato di fiducia della Casa Bianca.
A far la differenza contribuiscono paradossalmente l'ambiguità e la spregiudicatezza con cui il presidente di una Turchia membro della Nato ha continuato a mettere a disposizione di Mosca i propri mercati commerciali e finanziari consentendole di dribblare le sanzioni. Ambiguità e spregiudicatezza che in questi 38 mesi e passa di guerra gli hanno garantito risultati negoziali ben superiori a quelli raggiunti dalla Casa Bianca in questi ultimi mesi. A partire dalla trattativa avviata a Istanbul nel marzo 2022. In quel caso le delegazioni russe ed ucraine arrivarono a siglare una bozza di cessate il fuoco che prevedeva - oltre alla rinuncia di Kiev ad entrare nella Nato anche - l'accettazione di una parziale smilitarizzazione e di uno status di neutralità supervisionato e garantito dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'accordo, secondo Mosca bocciato dal premier britannico Boris Johnson, al tempo alleato di ferro di Volodymyr Zelensky, non entrò mai in vigore, ma venne seguito da intese importanti. Prima fra tutte quella sul grano che consenti all'Ucraina - grazie ad Erdogan - di riprendere le sue esportazioni di cereali. Ma il presidente turco è stato cruciale anche per garantire a Mosca il mantenimento delle basi in Siria e quindi sul Mediterraneo, dopo la caduta di Bashar Assad.
Da
rodato uomo d'affari Donald Trump non si è però lasciato spiazzare ed è rimasto in gioco fingendo di assecondare le mosse di Putin. Dando il via ad un poker in cui tutti dovranno mostrare le carte che hanno veramente in mano.
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