Luca Telese
da Roma
Splendido, come sempre. Aria cipigliosa, tono seriosissimo, occhio a palla puntato dritto dritto nella telecamera di Omnibus, di prima mattina su La Sette. Piero Fassino è straordinario mentre spiega e annuncia: «Ci vuole una battaglia molto forte a tutte le forme di condizionamento che la politica tenta di esercitare sugli organi di informazione a partire dalla Rai».
Sarebbe persino condivisibile, se non arrivasse - con una formidabile scelta di tempo di cui luomo è maestro - proprio «dalla politica» e proprio nel giorno in cui «la politica» stringe il suo controllo sulla Rai. Non la politica in senso lato, ma la stessa coalizione del segretario ds anche se con un piccolo regolamento di conti interno: nella corsa per la carica organizzativa più importante di viale Mazzini è stato bruciato Antonello Perricone (laltro concorrente in lizza per il posto, che era preferito da Romano Prodi). E chi ha prevalso? Claudio Cappon, luomo che ha avuto il sostegno decisivo della Margherita e dei Ds (ovvero proprio il partito di Fassino!). Dopo gli anni delle polemiche e delle denunce contro la «grande occupazione» del centrodestra, lUnione scopre il paradosso di essere al comando e di piazzare uomini vicini alle proprie posizioni nelle caselle che contano. Con il governo Berlusconi la maggioranza controllava il ministero delle Comunicazioni, il Consiglio di amministrazione e il direttore generale. Con il governo Prodi la maggioranza controlla il ministero delle Comunicazioni, il Consiglio di Amministrazione, il direttore generale e anche il presidente (Claudio Petruccioli, come è noto, era un presidente «di garanzia» eletto in quota Ulivo quando nel Cda era ancora maggioranza la Casa delle libertà). Insomma, oggi cè un sostanziale monocolore (a quanto pare la strenua battaglia di Fassino non è ancora iniziata), temperato solo dal fatto che il centrodestra ha sostenuto Cappon pur di rendere visibile la frattura fra il candidato prodiano e la sua maggioranza.
Che il problema dellingerenza dei politici non sia una chiacchiera di parte, lo dimostra limpegno persistente di una attrice di sinistra come Sabina Guzzanti che (le va dato atto della coerenza) organizzava girotondi quando a viale Mazzini governava il centrodestra, ma continua a organizzarli anche adesso che governa (come aveva profeticamente cantato Giorgio Gaber) «lItalia dei più buoni». La Guzzanti ha annunciato (intervista al Corriere della sera) una raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per sottrarre la Rai dal controllo dei partiti e continua a ripetere nei suoi spettacoli, come ha fatto la settimana scorsa a Roma, durante un suo spettacolo: «Alziamo la testa anche ora che cè Prodi». Una mosca bianca. E infatti per ora non sono in molti a darle retta. Anche perché si sta aprendo la grande danza delle nomine, e nessuno vuole rischiare di restare fuori dalla corsa alla poltrona. Persino un dirigente indubitabilmente progressista come Carlo Freccero, uno che è stato fermo per cinque anni perché considerato fuori linea non compare mai nei toto nomine dellUnione: troppo poco affidabile per il nuovo potere, dicono. Ieri un uomo come Vittorio Sgarbi (neoassessore alla Cultura di Milano) spiegava che la nomina di Cappon «non gli suona partigiana». E il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani, gli faceva eco così: «La fiducia in Claudio Cappon nasce non soltanto dalla sua levatura professionale, ma anche dalla certezza che saprà proseguire nelle scelte di qualità proprie della Rai». Parole sostanzialmente condivise da tutti i dirigenti dellUnione.
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