Fassino sogna il cocktail tra Lula, JFK e Schröder

Il segretario ds: «Dobbiamo fondere culture diverse». E adotta pure Lincoln

da Roma

Kennediani? O socialisti? Tutti e due, please. Del resto, perché scegliere? L’Ulivo, spiega Piero Fassino, «sarà tanto più forte se saprà unire e fondere culture ed esperienze riformiste diverse». L’elenco è lungo. Gonzales e Kreisky, Lula e Blair, Delors e Thomas W. Wilson, il «tenace assertore» della Società delle Nazioni. C’è pure Gandhi? Certo. E Mandela, Mendes-France, Martin Luther King? Sì, c’è posto per tutti nell’Olimpo del nuovo centrosinistra disegnato dal segretario della Quercia, per gli ecologisti e per i pionieri americani, per i cattolici e persino per i luterani. Anche per Thomas Jefferson. Anche per i due Franklin: il Delano Roosevelt, inventore del new deal, e il Benjamin, inventore del parafulmine.
Cosa c’è di strano, si chiede Fassino in una lettera sul Corriere della Sera, non sono forse «tutte icone di ogni democratico e progressista?». Perché il problema, insiste, «non è liberarsi dalle vecchie famiglie» ma «aprirsi continuamente verso una sempre più larga aggregazione unitaria». Non si butta nulla. Non certo la socialdemocrazia europea, che «non è datata e statica» ma che è invece terreno di contaminazioni e di modernità. Gli scandinavi, Gonzales, il greco Simitis, i tedeschi Brandt, Schmidt e Shröder. Il Ps francese nato dalla confluenza di socialisti, radicali, repubblicani e cattolici. Blair, che è aperto «al pensiero liberaldemocratico». Il portoghese Guterres, «uomo di forti convinzioni cristiane». E tutti i 180 membri dell’Is, compresi liberali colombiani, il partito del popolo pakistano, radicali argentini e il Congresso indiano. Ma non si butta nemmeno l’America, «terra di modernità e di dinamismo produttivo». Non solo i soliti Jfk e i suoi fratelli, ma pure tutti i personaggi della democrazia Usa, da Abramo Lincoln a oggi.
E mentre sulla Stampa Massimo D’Alema frena, perché «non si passa in due giorni dalla competition al partito unico, che dovrà essere più europeo che americano», su Repubblica Walter Veltroni rilancia il partito democratico: «Ne parlo da 15 anni. Serve una forza che raccolga il 30 per cento. Se restiamo un’alleanza con 8-9 soggetti che affidano a Prodi il compito di mediare quotidianamente, tutto diventerà più difficile».
Una babele? No, risponde Vannino Chiti: «Sono sensibilità diverse e ognuno ci mette del suo, ma D’Alema e Veltroni non hanno posizioni divaricanti. E poi Fassino fa una sintesi».

Ma per Giuseppe Caldarola la differenza c’è, eccome: «Walter s’intesta, a buon diritto, la primogenitura del partito democratico. Io preferisco D’Alema che mette in guardia dai processi precipitosi e Fassino che rivendica la vitalità del socialismo europeo».

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