Fassino spara a destra, ma delude la sinistra

Luca Telese

da Roma

E venne il giorno della guerra di Piero. Tornato dal Messico dopo la vacanza non proprio tempestiva, ritemprato dalla lettura dei quotidiani che si era perso, preparato come un boxeur dai suoi collaboratori, rassicurato dalle telefonate intrecciate con i dirigenti della Quercia e dalle due lenzuolate di forum del suo attuale mèntore - Massimo D’Alema - il segretario dei Ds si è adeguato al protocollo difensivo messo a punto dal leader maximo due giorni fa: «La destra - attacca il numero uno del Botteghino - attraverso soprattutto la campagna che conduce il quotidiano il Giornale della famiglia Berlusconi, cerca di offrire dei Ds un’immagine falsa e denigratoria».
La guerra di Piero, uno e due: la mattina apri i quotidiani e trovi la paginata consegnata a La Repubblica, dove il tempo dell’inchiostro aveva, se non altro, consentito qualche cautela. In quella sofferta e tormentata autodifesa Fassino trovava anche lo spazio per dire male di Giovanni Consorte, manager su cui fino a questa estate metteva la mano sul fuoco, e su cui ieri invece (improvvisamente risvegliato dalle inchieste) diceva: «Sono emersi fatti sui quali non possiamo chiudere gli occhi; interi conti esteri con depositi illeciti che poi sono stati condonati con lo scudo fiscale di Tremonti, consulenze equivoche, alleanze discutibili, commistioni tra interessi privati e interessi societari». Azioni e fatti da cui Fassino oggi trae questa conclusione: «Non c’è dubbio che questi sono comportamenti del tutto estranei ai nostri valori e alla nostra storia». E poi un’altra ammissione, interessante anche per la splendida contorsione della consecutio temporum: «Rivendico il mio diritto ad aver fatto il tifo. In un mondo di furbi preferisco essere tifoso che cinico». Cioè: non rivendica il diritto «a tifare» ancora (perché adesso si dissocia dall’ex numero uno dell’Unipol), ma quello ad averci raccontato - fino a ieri - che i manager delle Coop erano un gruppo di comando virtuoso. E qui i conti non tornano: perché dopo premesse e ammissioni di questo tenore, uno si immagina che un segretario di partito arrivi a chiedere scusa (Achille Occhetto, nella sua «seconda Bolognina» dopo il coinvolgimento di alcuni dirigenti di secondo piano in Tangentopoli lo fece per molto meno). Invece Fassino coglie il destro per partire lancia in resta contro il Giornale (a cui attribuisce - troppa grazia - la paternità di uno scandalo di cui tutti i media però parlano): «Un complotto? Io questa parola - premette - non la uso mai. Ma c’è un’aggressione, questo sì. Un’aggressione violenta, fondata sull’odio. Pur di non perdere le elezioni, sono disposti ad uccidere l’avversario politico».
È difficile capire come l’aver pubblicato una intercettazione di cui lui stesso aveva auspicato con enfasi la divulgazione (resta memorabile l’appello di questa estate: «Chiedo che siano rivelate al più presto le mie conversazioni con Consorte») diventi addirittura un tentativo «omicida» ai suoi danni. Fassino ripete che non ha nulla da rimproverarsi, sembra quasi dimenticare il suo entusiasmo di pochi mesi fa nei colloqui con Consorte («Allora, siamo padroni di una banca?»), i suoi precetti («Prima portiamo a casa tutto») e la gratitudine del suo interlocutore («ti devo ringraziare»). Ora racconta (anzi, fa capire) che Consorte è un poco di buono, e che lui ha la coscienza a posto: «Mi sono limitato a chiedergli notizie, tra l’altro su fatti già avvenuti. Non c’è stata da parte mia una sola parola sulle scelte future dell’Unipol» (e qui dimentica ancora - ahi, ahi - lo splendido lavoro di «consulenza gratuita» al manager rivelato dalle intercettazioni: «Preoccupatevi bene di come comunicare in positivo il piano industriale... Il problema adesso è dimostrare che noi abbiamo... che voi avete un piano industriale»). Al Tg3 si mostra, forse per la compressione dei tempi, ancor più baldanzoso: «Respingo questa campagna vergognosa. La destra cerca di criminalizzarci con una campagna falsa e denigratoria».
Una linea che dopo una settimana di psicodrammi tra Margherita e Ds, consente finalmente al leader del Botteghino di incassare la solidarietà formale di Romano Prodi: «Le parole di Fassino - dice Prodi - esprimono quella tensione etica e morale che attraversa tutte le forze dell’Unione». E anche: «Le scomposte reazioni della maggioranza di governo all'intervista mostrano, ancora una volta, la doppia faccia della Cdl. Da un lato si auspica una campagna elettorale all'insegna del rispetto e di un civile confronto sui contenuti, dall'altro si alimenta una vera e propria campagna di aggressione e di disinformazione». Walter Veltroni è cerchiobottista. Da un lato parla anche lui di Watergate, dall’altro spiega: «Non ritengo opportuno sostenere operazioni finanziarie».

Eppure, la presa di posizione non consente a Fassino nemmeno di tranquillizzare l’opposizione interna nel partito: «L’intervista - dice Giorgio Mele, numero due della sinistra Ds - al di là di alcuni oggettivi giudizi su Consorte, non mi pare che mostri sostanziali differenze rispetto all’intervento di D’Alema, e quindi non vi è nessuna novità rispetto all’andamento della direzione di mercoledì».
Mercoledì, purtroppo per Fassino, conterà più Mele che Prodi.

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