Fateci lavorare felici per lavorare meglio

di Serena Coppetti

Sorride per contratto. Gioisce perché sa che ogni suo guizzo di contentezza fa impennare i profitti. Deve divertirsi e far divertire. Mai una luna storta e niente nervosismi se un lavoro non va come dovrebbe. Non può. Perché lui è il «manager della felicità». La mattina si alza entusiasta di andare a lavorare. E ogni giorno timbra il cartellino sapendo che il suo compito in ufficio è quello di ingegnarsi affinché tutti, anzi, ognuno dei collaboratori in azienda senta di fare la differenza, ovvero essere felice dalle 8 alle 17. È la (faticosissima) vita del CHO, che sta per Chief Happiness Officer, in italiano si traduce male non solo come vocabolo ma anche nei fatti. Sarebbe il «manager della felicità», appunto, quel dirigente che verrebbe assunto e pagato profumatamente dall'azienda per tirare fuori il meglio dai collaboratori, spazzare via i musi lunghi e promuovere il benessere tra le scrivanie. Il condizionale da noi è un obbligo visto che la definizione da cui partiamo è «direttore delle risorse umane». Eppure nel resto del mondo cominciano a farsi spazio i CHO quasi una formula chimica che mescola filosofia e economia. Nonostante la crisi, o paradossalmente proprio a causa della crisi, le energie positive fanno la differenza sul mercato. E ora la felicità è considerata una delle chiavi del successo di molte organizzazioni aziendali moderne. Una veloce ricerca on line su Linkedin elenca addirittura i 25 top «manager della felicità» a tutte le latitudini. Ci sono aziende che lo stanno sperimentando come Ikea e Lego (all'estero, ovviamente). O come Google dove l'ingegnere Chade Meng è il Jolly Good Fellow, «il bravo ragazzo» convinto che «il lavoro diventerà la fonte della tua felicità». Lo ha sperimentato con i suoi colleghi alla Sylicon Valley e a quanto pare ci è riuscito talmente bene che ha convinto l'azienda a istituzionalizzare il suo ruolo. Non sono missionari ma pionieri del business felice pronti a sconfessare pavese: lavorare non stanca. Anzi.

Uno dei guru è Alexander Kjerul, CHO e fondatore della Woohoo Inc. in Danimarca, consulente per i colossi aziendali che hanno deciso di mettere la felicità all'ordine del giorno nei consigli di amministrazione e autore di ben quattro best seller sull'argomento. Il primo si intitola Happy Hour is 9 to 5, è stato tradotto in 9 lingue e racconta come tirare fuori dal meglio dalle persone, renderle soddisfatte e felici faccia aumentare i profitti e renda tutti maggiormente produttivi. Così il suo biglietto da visita lo vede volteggiare con un salto in aria mentre snocciola clienti come Hilton, Microsoft, Lego, Ikea, Shell, Hp e Ibm... Intervistato dal quotidiano inglese The Guardian ha spiegato che il Chief Happiness Officer «è una figura che deve ispirare naturalmente la felicità negli altri. Deve essere simpatico e divertente. Ma deve anche avere idee e molta, moltissima energia». Non basta.

«Oltre alla felicità c'è un altro requisito fondamentale per il CHO: deve realmente preoccuparsi del benessere dei dipendenti». Sembra facile... Parafrasando Tolstoj verrebbe da dire che tutti i dipendenti infelici sono simili gli uni agli altri; ogni dipendente felice è felice a modo suo.

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