Fatima, la pioniera del design etnico

«Il mio desiderio era valorizzare i nostri prodotti e aumentare la produttività dei miei connazionali»

Il suo negozio di prodotti artigianali marocchini e complementi di arredo etnico si trova in via Kramer, una piccola via defilata a pochi passi dal centro. Si chiama Tuareg, come i mitici nomadi del deserto, figli del vento e delle stelle. Fatima Ghazzal è una bella donna di origine berbere nata ad El Jadida, in Marocco, cittadina portoghese nota per la spiaggia di sabbia finissima che si affaccia sull'Atlantico. Musulmana moderata, una famiglia numerosa alle spalle (tra genitori, fratelli e sorelle una decina di persone) e un laurea in economia all'università di Casablanca, fa parte della generazione della mobilità, cioè di quei giovani cresciuti nell'era della globalizzazione per i quali il mondo è senza barriere e pregiudizi, almeno nei sogni e nelle aspettative. Con questo spirito la giovane donna decise di lasciare la sua terra per venire in Italia, mossa da una passione per l'arte e l'architettura: «La prima città che ho visto è stata Firenze - racconta -. Ne sono rimasta incantata». Fu così che decise di fermarsi nel nostro Paese e scelse Milano come città d'adozione. Grazie agli studi e alla conoscenza di diverse lingue - arabo, francese, italiano e inglese - non ci mise molto a entrare nel mondo del design e dell'arredamento dove iniziò, passo dopo passo, a costruirsi una professione: «Non sono stati anni facili - ricorda - ma non voglio soffermarmi su questi aspetti. La mia è una delle tante storie d'immigrazione riuscita che non racconta nulla di nuovo: le solite traversie, le difficoltà burocratiche, gli incontri più o meno giusti, i momenti di luci e ombre. Preferisco parlare di come sono riuscita a realizzare gli obiettivi che mi ero prefissa».
In seguito a una serie di esperienze lavorative e un corso di avviamento all'impresa della Camera di commercio, Fatima decise di mettersi in proprio. Nel 1998 aprì un negozio in veste di «agente di sviluppo per il proprio Paese d'origine» che, tradotto in parole povere, significava mettere in pratica un'idea imprenditoriale piuttosto innovativa in un momento di boom etnico in Italia: «Il mio desiderio era di valorizzare i prodotti locali e allo stesso tempo trasferire le mie competenze acquisite in Italia. Un modo concreto per incrementare, nel mio piccolo, la produttività fra i miei connazionali». Fu così che insieme a un parente in loco attivò una rete di artigiani che segue tutt'ora di persona dividendosi tra Milano e il Marocco, terra con cui mantiene un legame fortissimo: «Una figura maschile sul posto era necessaria - precisa - soprattutto per le trattative sui prezzi. Per quanto io sia ormai conosciuta e apprezzata dagli artigiani, ci sono sempre dei limiti nelle possibilità di una donna in Marocco di gestire attività che hanno a che fare con il commercio». Come dire, per sfondare a livello imprenditoriale una donna deve superare invidie e orgogli maschili, ostacoli culturali non sempre facili da gestire. Ma Fatima non demorde: il suo negozio continua a essere il punto di riferimento di una clientela milanese affezionata che le assicura entrate costanti.

Dalle lampade in ferro battuto ai tavolini mosaico ai complementi di arredo all'oggettistica variopinta, la piccola oasi della bella berbera è la testimonianza concreta di un incontro difficile ma (per ora) riuscito fra diverse culture.

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