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La fatwa contro i cani: per Teheran pure loro sono troppo occidentali

Il mio amico algerino Sharif viene a consolarmi, e a prendermi garbatamente in giro, a fine partita. «Be’ Oscar, non hanno giocato male». «Cosa? Uno schifo». «Ma parlavo dei neozelandesi». Mentre sorseggiamo un tè chiedo a lui, fedelissimo seguace della religione islamica, che ne pensa della fatwa contro i cani emanata dall’ayatollah iraniano Shirazi. Mi spiega che il Corano non insegna a odiare né i cani né alcun altro animale. Di fatto, in realtà, a proposito dei cani non dice assolutamente nulla. «È vero - mi spiega - che nei detti del Profeta si accenna ai cani immondi, ma anche questo va interpretato. Se vieni a contatto con la saliva del cane devi lavarti con la terra per sette volte, ma questo non vuol dire che devi odiare il cane. Probabilmente tutto discende da antiche malattie che si trasmettevano con il morso. Il cane va tenuto distante, ma commetteresti un grave peccato se gli usassi violenza, come su qualunque altro animale che popola la terra. Anche il maiale che, come ben sai, non possiamo mangiare, non va per questo odiato».
Leggiamo quindi le agenzie di stampa sulla notizia e l’amico algerino mi spiega che la fatwa non è altro che la risposta dell’esperto di sharia, legge coranica, a un quesito. In questo caso la domanda riguarda l’utilità del cane e il pensiero che esprime l’ayatollah, per quanto molto autorevole, non è vincolante se non per chi riconosce in Shirazi l’alta guida spirituale. Il grande ayatollah ha sentenziato che il cane è animale immondo e dunque il bravo osservante non deve tenerlo nella propria casa o, peggio ancora, portarlo fuori a passeggiare. Se poi a portarlo fuori è una donna, la faccenda si aggrava, perché questo rappresenta un ostentato atto di provocazione finalizzato a fare la conoscenza con uomini che, a loro volta, portano a spasso i loro cani. Una tentazione di troppo, esattamente come vestire un abito sconveniente.
E così, dopo la fatwa contro il fumo, ora gli ayatollah del regime iraniano, prendono di mira i cani, ma evidentemente non si tratta di un problema religioso. La decisione di «stringere la vite» su queste immonde abitudini occidentali rappresenta un fatto politico. I giovani e i comuni cittadini, insofferenti alle restrizioni assurde imposte da un regime intollerante, coltivano, tra le mura di casa o nei centri di aggregazione sociale, abitudini e «mollezze» inconcepibili per chi vede nell’Occidente una perenne sfida alla propria sopravvivenza politica. Così, si sfrutta la religione e si impone alla stampa di regime, in questo caso il quotidiano conservatore Javan, di chiedere al grande ayatollah cosa ne pensi del cane domestico, ricevendone come risposta che trastullarsi con lui è «una cieca imitazione dell’Occidente». Non a caso i cani antidroga o quelli per uso militare sono impiegati dal regime iraniano (e in questo caso non sono più immondi), ma anche i quattro molossi di Ahmadinejad hanno ricevuto una particolare dispensa, che gli permette di seguire il presidente. Una particolare fatwa infatti ha sentenziato che sono necessari a garantirne la sicurezza.
«Un uomo», mi dice l’amico Sharif «incontrò un giorno un cane che stava morendo di sete. Subito gli portò una ciotola d’acqua salvandolo. La sua anima volò in paradiso perché tutti i suoi peccati erano stati mondati da quel suo gesto».

Il regime iraniano colpisce i cani, ma il suo vero bersaglio sono i guinzagli e i collari preziosi.

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