Gianni Pennacchi
da Roma
Forse per dar megafono a Liberazione che ieri pubblicava integralmente lappello di Marcello Pera bollandolo come «un invito alla sollevazione xenofoba che somiglia al manifesto fascista del 38», forse per aggiungere carne al fuoco della campagna elettorale, ecco Fausto Bertinotti chiedere le dimissioni del presidente del Senato, reo di essersi assunto «il ruolo di crociato». Il leader di Rifondazione invoca la «decenza istituzionale», sollecita lintervento del Quirinale per riparare allo «strappo istituzionale». Insomma, una dichiarazione di guerra in piena regola contro lestensore del «Manifesto per la riscossa dellOccidente». Linteressato non se lè presa più di tanto, anzi dice che Bertinotti lo ha «deluso». Ma a sgonfiar del tutto la bomba bertinottiana ha provveduto Massimo DAlema, ricordando che «il Senato è sciolto»: chiedere le dimissioni del presidente, «non mi pare la priorità».
Pera era a Cosenza ieri pomeriggio, per inaugurare un carcere. Come tutti però, aveva visto la prima pagina del quotidiano di Rifondazione e aveva letto la dichiarazione di Bertinotti a margine dellesecutivo della Sinistra europea. Una risposta era doverosa e attesa dunque, ma il presidente del Senato non ha smentito il suo carattere né il distacco che compete al suo ruolo: «Devo essere sincero, da Bertinotti non mi sarei aspettato questa delusione. Quello del segretario di Rifondazione comunista mi sembra un modo di trasferire la campagna elettorale in campo istituzionale». Pacatamente, Pera ha poi spiegato: «Nellappello che ho lanciato nei giorni scorsi ho ricordato di credere nei princìpi e nei valori dellOccidente e ho sottolineato la necessità di rifarli nostri. Mi è stato risposto che il mio appello è pericoloso, che fomento la guerra di civiltà e che uso un metodo da crociato. Stamattina poi, il mio appello è stato paragonato a un manifesto in difesa della razza ariana. Posso comprendere che si tratta di parole e passioni da inizio campagna elettorale: anche queste espressioni di libertà sono caratteristiche dellOccidente, altrove non sarebbe possibile fare campagna elettorale con questi metodi». Con fermezza, ha però ribadito: «Se cè una guerra di civiltà in corso, si chiama guerra santa, ed è quella che fondamentalisti e terroristi hanno dichiarato allOccidente: una guerra che noi dobbiamo vincere. Ci definiscono giudei e crociati: se saranno loro a vincere questa battaglia, non scomparirà soltanto lEuropa, ma la civiltà. Noi dobbiamo riflettere e combattere con la nostra cultura».
È il Pera ormai noto che è sceso in campo, che rimprovera lEuropa dessere debole e «troppo politicamente corretta», e che esorta a «riappropriarci delle nostre radici con orgoglio e senza arroganza, senza dichiarare nessuno scontro ad alcuno ma rimpossessandoci della nostra grande tradizione». Bertinotti invece era stato durissimo: «Per una decenza istituzionale il presidente Pera, se vuole svolgere il ruolo di crociato, rassegni le dimissioni. Secondo me dovrebbe anche intervenire il garante supremo della Repubblica e cioè il presidente Ciampi, perché siamo di fronte ad uno strappo istituzionale. Rimetta la sua carica e poi combatta la sua battaglia senza la copertura di una cornice a cui si dà un giudizio di valore. Pensiamo che questa opera fatta dal presidente del Senato sia una cosa grave per quello che dice mistificando la realtà e rifiutando un rapporto dialogico con le altre civiltà e invece alimentando uno scontro di religione».
Lo scontro polemico che sè acceso tra i due schieramenti era scontato, ma ha subito raggiunto livelli dincandescenza. Bertinotti «ha dato le dimissioni dal buon senso» secondo Alfredo Mantovano, «delira» per Isabella Bertolini, «è lui che deve sgomberare il campo e non Pera» rimbecca Maurizio Gasparri. Dallaltro versante, Pera è «un irresponsabile» per Bobo Craxi, il suo manifesto «non è certo una base per il dialogo» secondo Livia Turco, è «una dichiarazione di guerra razzista» per Marco Rizzo.
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