Roberto Scafuri
da Roma
Uno è cresciuto a Sesto, alle porte di Milano. Laltro è nato a Sesto e Uniti, Bassa cremonese. Unottantina di chilometri di nebbia fitta. Si potrebbe chiuderla qui, la storia delle diversità parallele di Fausto Bertinotti e Sergio Cofferati. Movimento creativo luno, solida tenacia laltro. Il primo nella Cgil nel 64, e in quattro e quattrotto dirigente dei tessili dellOvest-Ticino (Fiot). Laltro vi entra a ridosso dell«autunno caldo» e soltanto dopo ventanni, gradino dopo gradino, arriva al primo ruolo direttivo dei chimici (Filcea).
Fausto come una spider rossa, agile in curva, teorico dello sciopero fino allo spasimo: «Laria che vi si respira è sempre di liberazione, di gioia per avere conquistato spazi di libertà». Sergio come un trattore, duro come usa dalle sue parti, e «lento» come vuole limperversante tipologia alla Celentano. Dunque trattativista a oltranza. «Eppure tra quelli della Pirelli è sempre rimasto un mito», racconta un vecchio dirigente del Pci milanese. Bertinotti brucia le tappe, la vita sindacale e politica: segretario della Cgil piemontese dal 75 all85, dalla sinistra lombardiana del Psi al Pci nel 72. Intanto Cofferati mangia pane, sindacato e Pci. Le strade sincrociano, per non sovrapporsi, quando il Chimico nel 90 raccoglie il testimone di Trentin alla guida della Cgil, mentre il Tessile dal 91 è guida di Essere sindacato. Spina nel fianco, ovviamente di sinistra, della Cgil.
Dove nascono i dissapori? Non cè sapore che li accomuna: luno per la concertazione a oltranza, laltro per il conflitto permanente. Ala destra e ala sinistra, fatti per guardarsi e dirsi addio. «Siamo solo diversi - dice Fausto -, lui di scuola chimica, io metalmeccanica». Come a dire, nel gergo sindacale, lui è del sindacato «ricco», io in quello «povero». Cofferati segretario centellina gli stanziamenti alla corrente bertinottiana per non farla crescere troppo. «Ma sul piano dei rapporti formali pochi scontri, Sergio è formalmente soft...», ricorda un testimone. Sgarbi e scontri politici non tessono il filo di un rapporto: il vecchio Garavini invano cercherà mediazioni, fino a quando Fausto spezza la gabbia in cui Sergio lo costringe e passa alla politica. Nel 93 aderisce a Rifondazione, dal 94 segretario. Sergio segue la parabola con distacco, ma a un «migliorista» come lui le accelerazioni incutono disorientamento. Il fastidio cresce quando Bertinotti, nellimmobilità del sindacato, interpreta il suo appoggio al governo Prodi come supplenza di ciò che la Cgil non fa.
Strade ancora sovrapposte, nebbia ancora fittissima, quando Cofferati si lascia tentare dalla politica. Porta 3 milioni di persone in piazza per la difesa dellarticolo 18, e tutti attendono che diventi il leader Unificatore. Bertinotti invece lo attende al varco, sa che non è animale politico. Dicono i suoi: «È anelastico, senza dialettica, prende una decisione e va giù come un trattore. Un vero guaio, se la decisione è sbagliata». Lo pressano, raccolgono firme per un referendum sullart. 18 al quale, clamorosamente, Cofferati dirà di non votare. È il crollo delle azioni di Sergio, il pendio che lo porterà a sindaco di Bologna. Metamorfosi che non sorprende Fausto, pronto a criticarne le prime mosse da uomo dordine: «Il monarca è una cosa, il sindaco unaltra, il sindaco ha il dovere del rispetto delle regole democratiche».
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