Una favola dal finale triste

Una favola dal finale triste

Francesca Camponero

Va bene che il made in Italy è di gran pregio, piace a tutti, soprattutto ai giapponesi ed ora anche ai nostri concorrenti più spietati, i cinesi, ma sarebbe meglio che il musical rimanesse solo ed esclusivamente quello uscito da Broadway. Da tre anni consecutivi viene messo sulle scene dei teatri italiani dalla Compagnia del Teatro «il Sistina», Vacanze romane, la commedia musicale, ispirata al famoso film di William Wyler, interpretato da Gregory Peck e Audrey Hepburn, 50 anni fa.
Difficile dimenticare la magia di quel film, dove si ammirava una Roma in bianco e nero, ben diversa da quella presentata dai film di Rossellini. Ogni straniero che ancora non era stato nella nostra capitale era attratto dalle meraviglie architettoniche della città e dal genere di vita all’italiana, come solo un americano poteva presentare. Sono corsi a fiumi gli americani per sentirsi un po’ Gregory Peck, i giovanotti, e la bella Audrey, le signorine; si sono fatte fotografare da qualche «Romolè» sotto i cieli stellati di tarda primavera al Pincio, e hanno buttato la loro brava monetina nella Fontana di Trevi. Anche la Vespa ha avuto la sua gloria, e credo che il film di Wyler abbia dato una notevole spinta alle vendite della Piaggio in quel periodo.
Perché rovinare tutto questo? È impresa ardua di per sé ridurre in un palcoscenico le bellezze di Roma, lo è ancor di più quando tali bellezze sono state presentate in un film di successo. Se proprio si voleva riprendere la favola, perché di favola si tratta, non era necessario servirsi di scenografie in cartapesta per rappresentare il Colosseo, la Barcaccia e la Fontana di Trevi. Così come non era necessario far indossare ridicole e pesanti parrucche ai poveri ballerini insaccati in abiti ottocenteschi, che si rifacevano più ad un film di Disney, che ad una realtà monarchica degli anni ’50. Ed è proprio sui danzatori che vorrei spendere una riflessione doverosa. È davvero triste vedere lavorare ballerini di qualità, come Francesca Speranza, ottima danzatrice scaligera, facente parte di diverse compagnie di danza di prestigio, e Alessandro Urso, ballerino di rango, appartenente per anni alla compagnia di Vittorio Biagi, in spettacoli così diversi dalle loro potenzialità espressive. E questo perché purtroppo, in Italia, si preferisce riempire le sale per assistere a dei musical, che a spettacoli di teatro vero o di danza di qualità. Con questo non si vuol togliere niente ai musical, ma se di musical si tratta realmente.
Purtroppo «Vacanze Romane» in scena al Genovese è un polpettone di cattiva recitazione, canzoni banali, coreografie scontate e scenografie obsolete, che poco hanno a che vedere con un musical degno di tal nome. Non è colpa dei protagonisti Franco Castellano, Sabrina Marciano, Christian Ginepro e Laura Di Mauro, se lo spettacolo non funziona, in quanto, non mi stancherò a ripetere, non è cultura italiana raggiungere la professionalità degli attori di Broadway, che si preparano ai musical.

Non bastano i corsi che si tengono alla Scuola di «Amici» di Maria de Filippi per formare dei veri attori all’americana, in cui recitazione, canto e ballo sono curati allo stesso modo dando alle tre discipline la stessa importanza e le stesse ore di studio come preparazione a chi decide di fare questa scelta artistica. Pietro Garinei, che da molti decenni firma la regia di molte commedie musicali, ha fatto il suo tempo, anche perché il varietà, ahimè, non esiste più ed è difficile farlo rivivere con forzature del genere.

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