Controcultura

Fazio e Rackete ovvero il nulla che (non) piace

Fazio e Rackete ovvero il nulla che (non) piace

S u queste colonne non ho mai recensito Chetempochefa?. Per diversi motivi. Il primo, si tratta di uno dei programmi più longevi nella storia della televisione italiana, ben più antico di questa rubrica e pressoché invariato nel tempo. Superfluo insomma tornarci su. Il secondo è legato al conduttore Fabio Fazio, uno che il giornalista lo sa fare bene però con uno stile che ha sposato la causa unilaterale del Paese come lo vede lui. Un autore partitico e partigiano, destinato a dividere tra chi lo stima e chi ne prende le distanze, un navigato professionista cui però non si possono riservare critiche generiche altrettanto di parte, per non fare la figura degli ingenui. Il terzo, il più importante, è una tv dove viene somministrato tutto ciò che a noi non piace, cominciando dai libri che, smentendo le recenti esternazioni di Corrado Augias, sono troppo banali, buonisti, commerciali, lacrimevoli, confidenziali e poco sofisticati per chi, proprio perché di destra, legge letteratura e non stupidaggini.

Ammetto di averci pensato su: recensire oppure no l'ospitata di Carola Rackete a Chetempochefa? dopo il flebile rilancio mediatico di questi giorni per un personaggio pressoché dimenticato da quando Matteo Salvini non è più ministro dell'interno. Poiché Fazio ha spesso usato la tv come supporto al marketing editoriale, la capitana della Sea Watch torna in tour in Italia col suo nuovo libro Il mondo che vogliamo edito da Garzanti. Emergenza migranti, emergenza clima. E il conduttore applaude felice perché, bontà sua, «si è fidata di noi».

Qui si parla di estetica e non di politica, sennò non sarebbe «L'arte della tv. In 20 minuti piuttosto noiosi, inevitabilmente ho associato il significato della parola «capitano» ad alcune figure: Capitano mio capitano, Capitan Uncino, Capitan Harlock, Jack Sparrow, Capitan Achab, Capitan Nemo e persino Capitan Findus. Eleganti nelle loro uniformi, stilosi prima ancora che autorevoli, «guarda i muscoli del capitano, tutti di plastica e di metano» cantava Francesco De Gregori in una bellissima canzone alcuni anni fa. Invece il viso, l'espressione, le parole di questa Carola Rackete non mi dicono niente, nessun eroismo, nessun coraggio. Niente, uno sguardo assente, neppure un po' di cipria sul volto a nascondere i brufoli, le stesse parole che potresti trovare su Facebook, orizzontali, nessuna profondità, concetti generici da tema di terza media. E il pubblico applaude. Già, perché applaude? Il conduttore si alza tributandole la standing ovation. Perché? Non c'è nulla da dire, tocca soffermarsi sull'ampia fascia bianca azzurra e sui dreadlocks. Ammesso che Carola Rackete abbia fatto qualche cosa di rilevante la scorsa estate, la televisione l'ha fregata, pur senza cattive intenzioni, rivelandola per ciò che è.

Persona poco interessante, priva di sostanza, completamente annacquata.

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