Economia

La Fed dà un’altra stretta ai tassi

Bush: «Il ritocco non è un problema: l’economia ha basi solide su cui crescere»

Rodolfo Parietti

da Milano

A dispetto dei ripetuti allarmi risuonati anche negli Stati Uniti sull’insostenibile pesantezza dei prezzi petroliferi, la Federal Reserve mantiene un imperturbabile distacco, tale da mantenere la barra della politica monetaria orientata sulla rotta dei rialzi graduali del costo del denaro. Così è stato anche ieri, come era scritto nelle attese di quanti - tra gli analisti, tutti - sottoscrivevano il facile pronostico di un rialzo di un altro quarto di punto, con i tassi posizionati al 3,5% e con un’ulteriore divaricazione della forbice (ora di 1,5 punti) rispetto a Eurolandia, dove l’ingessata conduzione della Bce li mantiene fermi al 2%.
Con quella presa nella riunione agostana del Fomc, per la squadra guidata dal coach Alan Greenspan si è trattato della decima correzione consecutiva da quando, nel giugno 2003, la Fed decise di porre fine all’era dell’emergenza post-Twin Towers. Decisione unanime, che lascia spazio a successivi interventi in grado di innalzare entro la fine dell’anno il costo del denaro al 4%, facile da assumere perché nella torre di controllo della banca di Washington continua a restare spenta la spia rossa dell’inflazione. Le pressioni inflazionistiche «sono rimaste elevate», recita il comunicato finale reso noto al termine del Fomc, ma non al punto da mettere in pericolo scenari di medio termine ottimistici, improntati a tensioni contenute sul fronte dei prezzi nonostante il lievitare del petrolio, giunto giovedì alla cifra record di 64 dollari il barile. Né il recente miglioramento del mercato del lavoro (oltre 207mila nuovi posti creati in luglio), confermato ieri anche dalla Fed, né una crescita del costo del lavoro pari al 4,3% nel secondo trimestre sembrano insomma aver creato preoccupazioni all’interno della banca centrale Usa. Tanto più che l’inflazione core (cioè quella depurata dalle voci più volatili come alimentari ed energia) resta bassa.
Sullo sfondo un’economia in vigoroso sviluppo, dove i rincari dei prodotti petroliferi non condizionano le spese personali, cresciute rispetto alla fine dell’inverno, e dove l’economia mantiene le potenzialità di un’espansione attorno al 4% nell’attuale trimestre. La Fed ritiene dunque che «la politica monetaria accomodante può essere rimossa a un passo misurato», anche se il reiterato ricorso alle mini-strette potrebbe non piacere a George W. Bush, la cui popolarità è scesa ai minimi storici. La congiuntura è positiva, ma il presidente ha dovuto incassare l’esito di un sondaggio in base al quale solo quattro americani su 10 non mostrano il pollice verso al modo di Bush di gestire l’economia. Dal suo ranch in Texas dove trascorre le vacanze, il presidente ha ieri sottolineato come vi siano gli elementi per «una crescita sostenuta» anche se preoccupano i costi dell’energia e quelli per l’assistenza sanitaria ed ha infine smentito l’esistenza di problemi con Greenspan.

Che non pare avere intenzioni di concedersi pause nell’azione di rialzo dei tassi prima dell’addio alla Fed, previsto nel gennaio 2006.

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