Economia

La Fed mette uno stop al calo dei tassi Usa

da Milano

La stagione dei saldi a Wall Street è terminata, la Federal Reserve ha deciso di riporre le forbici con cui in questi mesi ha più volte tagliato il costo del denaro portandolo ai minimi da quattro anni per evitare che l’economia americana restasse schiacciata sotto il peso dei mutui subprime. «Il rischio ora è rappresentato dall’aumento dell’inflazione», ha detto Ben Bernanke puntando il dito contro la «continua flessione del dollaro».
Per gli esegeti del banchiere statunitense il messaggio è inequivocabile: i tassi sui Fed Funds non scenderanno sotto l’attuale 2% per diverso tempo (erano 5,25% a settembre 2007); la prossima riunione è il 24 e 25 giugno. «Per ora, la politica (monetaria, ndr) sembra ben posizionata per promuovere una crescita moderata e la stabilità dei prezzi nel corso del tempo», ha aggiunto Bernanke intervenendo via satellite alla Conferenza internazionale sulla politica monetaria tenutasi a Barcellona. Ad ascoltarlo c’era il presidente della Banca Centrale, Jean-Claude Trichet, l’artefice della lotta europea contro la corsa dei prezzi.
Di conseguenza le principali Borse europee hanno accelerato, i Treasury Usa sono scivolati in basso, si sono attenuate le fiamme del greggio (i future hanno perso oltre due dollari al barile) ed è sceso l’oro. Dopo uno spunto iniziale New York è stata invece nuovamente schiacciata dal calo dei finanziari (meno 0,8% il Dow Jones; meno 0,4% il Nasdaq), complici i timori sulla solidità di Lehman Brothers (meno 9,5% dopo un tonfo del 15%) che avrebbe chiesto aiuto alla Federal Reserve, rievocando sul listino lo spettro di Bear Stearns.
Poche ore prima Bernanke aveva indotto gli operatori a riconsiderare la posizione del dollaro: «Stiamo prestando attenzione alle implicazioni che un cambiamento nel valore del dollaro potrebbe avere sull’inflazione e sulle aspettative di inflazione». La Fed, assieme al dipartimento del Tesoro Usa «continua a monitorare attentamente gli sviluppi nei mercati dei cambi». La politica della banca centrale e la forza dell’economia Usa saranno quindi «fattori chiave che assicureranno che il dollaro rimanga una valuta forte e stabile».
L’effetto spinta era stato immediato: il biglietto verde si era portato ai massimi delle ultime tre settimane rispetto all’euro per poi chiudere in Europa a 1,5446. Un inizio di rivincita sullo strapotere dell’euro, favorito anche dal positivo segnale degli ordini alle imprese Usa: più 1,1% ad aprile, molto meglio delle previsioni degli analisti che avevano pronosticato un ribasso dello 0,1 per cento. Anche Bernanke aveva tracciato un quadro in miglioramento nel secondo semestre 2008.

Fino a quando non si stabilizzerà il mercato immobiliare, i rischi per la crescita però restano e anche i prezzi del petrolio rappresentano un’incognita.

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