Fedele, il pugile-operaio che combatterà in Trambus

Anche se a volte quella cintura è costretto a toglierla perché «pesa un sacco», oramai la considera una specie d’appendice del suo corpo, una versione tattile dei suoi sogni da tenere sempre a portata di mano. E però stasera, intorno alle 22, per la terza volta Fedele Bellusci quella cintura dovrà difenderla a suon di pugni, per mantenere il titolo intercontinentale Ibf dei superleggeri. Combatterà in mezzo alla sua gente e ai suoi colleghi su un ring inedito, che sa di casa, allestito all’interno delle officine centrali di Trambus in via Prenestina, nello storico cuore pulsante dell’azienda per cui lavora.
Un dettaglio questo che stupisce solo fino a un certo punto, se paragonato alla storia degna di un romanzo del pugile-operaio cresciuto al Trullo e diventato in breve tempo The Gladiator, a Roma semplicemente il gladiatore. Il suo destino incrocerà quello dello sfidante Peter «Boyz Boyz» Semo, approdato nel freddo della Svezia dopo essersi lasciato alle spalle il caldo torrido dell’Uganda. Un avversario «true», tosto, mica un agnello da sacrificare per il lieto fine di questa favola, come sottolinea con insistenza il manager, biondo quanto la catenina che gli penzola sul collo e che lo rende fin troppo simile alla comparsa di un vecchio film di genere.
Ma i riflettori, non ce ne voglia il glaciale Semo, non un sorriso in un’ora e mezza di conferenza stampa, sono tutti per il ragazzo che non ancora diciottenne ha trovato il suo rifugio tra le spire del Serpentone di Corviale, in una palestra dove la boxe da fuga dal mondo si è trasformata in passione e, una volta maturato, in professione. Di certo non esclusiva, perché il suo posto a Trambus Fedele non ha mai pensato di lasciarlo, perché «lo sport oggi c’è e domani forse mentre il pane, quello no, non può mancare mai». Bellusci più che un eroe è l’archetipo di chi non ha paura di lottare, di chi è fiero di «essere il primo operaio che difende un titolo intercontinentale nella sua azienda». È emozionato in mezzo ai flash e alle telecamere, si vede lontano un miglio, ma la timidezza lo rende ancora più vicino a quella semplicità straordinaria di cui la sua storia profuma.
Forse è la dedizione, ai limiti dell’eccesso, a rendere Bellusci così unico: lo si intuisce al momento della pesatura, quando la bilancia segna 63,503 kg (140 libbre) e il limite ammesso per gareggiare è di appena un grammo più alto, 63,504 kg.

O quando, dopo la lunga trafila delle voci istituzionali che abbondano di ringraziamenti di rito e toccano praticamente ogni argomento possibile, lui si limita a dichiarare a occhi bassi, togliendosi finalmente quel cappello che sembra un’altra appendice del suo corpo, che «il titolo non lascerà le officine centrali perché è qui che deve rimanere». E se tutto andrà come deve andare, anche se pesa, quella cintura Fedele Bellusci potrebbe non togliersela mai più.

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