Il federalismo fiscale e i cittadini controllori

Carissimo Granzotto, ho letto sul Giornale un’affermazione del ministro Calderoli, peraltro da me stimatissimo, che un po’ mi fa rabbrividire, in quanto evocatrice di imminenti salassi (del resto, si dice che di buone intenzioni sia lastricata la via per l’Inferno). In sintesi, egli sostiene che con il federalismo fiscale se un’amministrazione spende 5 e un’altra 10, a parità di servizio, lo Stato passerà a tutte 5, e quelle che spenderanno di più dovranno farvi fronte aumentando le tasse. Temo fortemente che troppi useranno questa scappatoia. Si dà infatti per scontato che ciò non dovrebbe accadere per timore di suscitare lo scontento degli elettori, ma trovo questo assunto non del tutto valido nella realtà dei fatti, che è quella che conta. Le dinamiche elettorali sono infatti influenzate da troppi fattori e convenienze di parte. Mi convinca lei: è a conoscenza di un solo caso in cui un’amministrazione locale di almeno medie dimensioni sia stata indiscutibilmente punita dagli elettori per aver aumentato i tributi ai massimi possibili? E costretta a cedere il timone a un’altra che li abbia poi concretamente ribassati?


Sì, caro Gallotti, quello che dice è vero: non ricordo un elettorato - o parte di esso - che si sia rifiutato di dare il proprio voto (parliamo ovviamente di elezioni amministrative) al partito di un sindaco gabelliere. Però è capacissimo di farlo se il sindaco in questione spende male i soldi che ha spillato al contribuente. Il quale, magari non proprio ballando la rumba per la contentezza, le tasse le paga senza far tante storie. Però pretende che il ricavato vada a buon fine. Pretende una città pulita, una capillare manutenzione di strade e marciapiedi, servizi pubblici efficienti, rispetto e cura delle zone verdi, ad esempio parchi non disseminati di siringhe. Mentre, come ben sappiamo, sindaci vanesi, inetti e parolai ritengono che tutto ciò non serva e che per far grande e vivibile la città sia sufficiente «fare cultura» - notti bianche, corsi di telaio afghano, concerti in piazza, festival multiculturali - dilapidando, in quella «cultura» del piffero, barcate di pubblico danaro (la Roma di Veltroni, un esempio a caso, era sì rutilante di red carpets, ma più lurida, fracassona e sgangherata del Cairo). A questo aggiunga, caro Gallotti, che nelle elezioni amministrative l’elettore - anche quello fedelissimo, anche il più disciplinato - si sente in libera uscita e dunque talvolta portato a scegliere non in base all’ideologia o alla militanza, ma ai fatti concreti. Come non bastasse, con il federalismo i sindaci, i governatori, i presidenti delle Province (ma quando le aboliscono?) maneggeranno soldi che gli amministrati sentiranno più loro, direttamente usciti dal proprio portafogli. Ciò farà i cittadini più circospetti, più esigenti e maggiormente attenti nel controllare coi propri occhi, toccando con mano, se sono stati spesi bene. Provi allora un sindaco ad aumentare un tributo senza prima spiegare per filo e per segno dove andranno a finire quei soldi e a darne a cose fatte un puntiglioso rendiconto.

Verrebbe impallinato come il più fesso e inadeguato dei tordi (almeno così mi auguro, caro Gallotti: non ho perso la fiducia nella ragionevolezza del popolo sovrano e nel suo senso della giustizia. Dice che sbaglio?).

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