Federalismo L’incognita del sì al decreto: se non passa la Lega vuole le urne

Dietro il grido di battaglia, o federalismo o morte, c’è in realtà un cauto ottimismo nei vertici leghisti. L’allarme sugli sfracelli che causerebbe un’eventuale bocciatura del decreto sul fisco municipale (a giorni in Commissione bicamerale), è più un messaggio politico che una pronostico realistico. Bossi e i suoi vogliono far capire che se ogni partito detta condizioni, anche la Lega ha le proprie, e non prevedono eccezioni rispetto al core business padano.
Nel caleidoscopio delle dichiarazioni leghiste dell’ultimo mese si è potuto notare un leggero cambio di registro. Se prima si evocava il voto come unica via di uscita, salvo conigli tirati fuori dal cappello da «Santo Berlusconi», ora il riferimento alle urne è sempre condizionato ad un se: se il federalismo non arriva. Anzi, introdurre la variabile elettorale di continuo «in questo momento disturba il federalismo» dice Calderoli, quindi meglio evitarlo.
Il ministro ha depositato il nuovo testo, che cerca di accogliere in vario modo le richieste avanzate da Udc, Fli e altri. Il voto della Commissione per l’attuazione del federalismo è previsto per il 26 gennaio. Cosa succederà? Sui trenta parlamentari che la compongono, 14 voti (sì) sono di Pdl e Lega, 14 (no) di Pd, Udc, Api e Idv, poi uno di Fli e uno della Svp. Le incognite riguardano Mario Baldassarri, senatore Fli, e Helga Thaler (Svp). Il primo ha sempre votato a favore nei tre precedenti decreti sul federalismo, però ora la situazione politica è molto diversa e penderebbe per il no, mentre l’altoatesina si è espressa recentemente in modo che lascia presagire un parere favorevole. Quindi si potrebbe profilare un pareggio (salvo astensioni) che equivarrebbe ad una bocciatura. A quel punto? In teoria il governo potrebbe procedere per via propria, ma la Lega non vuole che la riforma federalista passi unilateralmente, anche perché per mesi ha lavorato d’intesa con Anci, regioni, province e opposizioni per far quadrare i conti. Se passa «si può andare avanti fino al 2013» dice Calderoli, ma se non passa è chiaro che lo scenario diventa molto cupo.

Anche perché «se non si trova l’accordo su una riforma che finora è stata largamente condivisa, come si può sperare di trovarla sulla giustizia?», si interrogano i leghisti. E lì tornerebbe il voto, senza più condizioni.

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