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La felicità della Cantoni a Milano: «Adesso posso davvero festeggiare»

Bagno di folla nel suo quartiere: dedicata a Clementina un’enorme torta

La felicità della Cantoni a Milano: «Adesso posso davvero festeggiare»

Enrico Lagattolla

Questione di giorni. Questione che se la libertà non ha calendario, la prigionia conta le ore. Angoscia. Bagdad, Parigi. Kabul, Milano.
Questione di giorni dilatati dai sequestri. Venticinque per Clementina Cantoni, ventotto per Giuliana Sgrena, ventuno per Simona Pari e Simona Torretta, cinquantasei per Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Maurizio Agliana. L’incubo di Florence Aubenas e Hussein Hanoun dura cinque mesi. Da ieri, di nuovo liberi.
Storie di «reduci». Una parentesi condivisa, un sollievo incompleto fino a quando quella parentesi non si chiude per tutti. E allora «solo adesso posso davvero festeggiare». Clementina Cantoni dal suo incubo è uscita tre giorni fa. Ma «solo adesso» brinda. Con gli amici, con la gente del suo quartiere che la aspetta per celebrarne il ritorno. Il «momento bellissimo» è «adesso».
Esce dalla sua casa di via Jan a Milano, cammina per un centinaio di metri fino a raggiungere i festeggiamenti. Sorride, è emozionata, si avvicina alla torta che le hanno preparato.
Quando le dicono di Florence non trattiene le lacrime. «Voglio dedicare questo momento a lei e al suo interprete, per me è una notizia stupenda». Poche parole, stesso spirito dei suoi genitori. L’avevano detto nel giorno del rilascio: «Il nostro pensiero va a tutte quelle persone che sono ancora nella situazione in cui si trovava nostra figlia». Altruismo e coerenza. Omissis espliciti. Milano, Bagdad.
«Un’esperienza del genere ti resta dentro». Bendati, legati, reclusi, lontani dal mondo. Parentesi che non sempre si chiudono. In Italia, a Roma, nella casa dei suoi genitori, i fantasmi di Giuliana Sgrena. «Io ho ancora molti problemi da affrontare». Eppure.
Eppure «oggi sono molto felice». «Ora siamo tutti un po’ più liberi, perché la detenzione di Florence e Hussein durava da troppo tempo ed era un’angoscia per tutti noi, per chi è stato ostaggio, per la famiglia, per tutti».
Liberi, i «reduci», lo sono tutti o non lo sono fino in fondo. «Ricordo il peso al cuore l’ultima volta che sono salita in Campidoglio: la mia foto non c’era più, ma rimanevano le gigantografie di Florence e Hussein e poi la foto di Clementina. Provai una grande angoscia».
Angoscia che è consapevolezza, spaventati perché ci si è già illusi. «Una settimana fa ho incontrato la mamma e negli ultimi giorni c’erano speranze e contatti che davano fiducia, ma in queste situazioni tutto può succedere, è meglio essere cauti». E invece. «Invece oggi finalmente è arrivata questa notizia meravigliosa, che mi fa sentire un po’ più libera».
Poi si torna. E chi torna, chiude parentesi o quasi. Sempre che non ci siano da contare le ore per nessuno.

E sperando - nel caso - che sia solo questione di giorni.

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