Feltri «strumento degli Angelucci»? No, io non ci credo

Caro direttore,
ho letto di Gianpaolo Angelucci, il re delle cliniche romane, arrestato nell’inchiesta sulla sanità romana. Gli Angelucci, si sa, sono gli editori di «Libero» e del «Riformista». Ho letto che il giudice per le indagini preliminari parla di quotidiani del gruppo usati per fare lobby con «l’attività di pressante influenza sulle cariche istituzionali». Che dice? Io le confesso la verità: da vecchio lettore del «Giornale», sono sempre un po’ infastidito quando vedo che accanto alla nostra testata scrivono sempre «il Giornale di Paolo Berlusconi» o «il Giornale della famiglia Berlusconi». Le posso chiedere, d’ora in avanti, quando si parla di «Libero» di scrivere «quotidiano della famiglia Angelucci»?

Caro amico, devo dire che quella pratica infastidisce anche me. Non capisco perché quando si parla del «Giornale» si debba sempre citare la proprietà, mentre gli altri quotidiani sembra sempre che siano nati sotto il cavolo. L’unico altro foglio che condivide un po’ con noi questa sventura è «Avvenire»: anche per loro casca sempre l’aggiunta «quotidiano della Cei». Per gli altri niente. Basta la parola, come per il famoso confetto. Come se «Repubblica» non avesse un proprietario, come se il «Corriere» non avesse un editore. E allora non sarebbe male, in effetti, cominciare a usare lo stesso metro per tutti: noi siamo «il quotidiano della famiglia Berlusconi»? E allora «Repubblica è il quotidiano di De Benedetti», «il Corriere è il quotidiano delle grandi banche», «la Stampa è il quotidiano della Fiat», «l’Unità è il quotidiano di Soru», «il Messaggero è il quotidiano di Caltagirone»... E qui mi fermo. «Libero»? Sì, certo: ha ragione lei, è il quotidiano di proprietà degli Angelucci. Ma è soprattutto è il quotidiano di Vittorio Feltri.
Sulla vicenda giudiziaria non voglio entrare più di tanto. Dico solo che non credo al complotto e all’attacco all’informazione, come ha scritto il medesimo Feltri. Nonostante questo, però, avanzo sempre moltissimi dubbi di fronte a questi maxi faldoni (836 pagine) dove dentro c’è un po’ di tutto quanto fa fumo, salvo poi accorgersi spesso alla fine che sotto il fumo manca l’arrosto. Di esempi ne abbiamo visti fin troppi in questi anni e se non fossero bastati, sarebbe sufficiente ricordare l’assurda vicenda in cui è rimasto coinvolto Ottaviano Del Turco in Abruzzo. Come sempre, anche in quell’occasione, fummo garantisti fin dal primo giorno, anche quando nessuno dei compagni di partito di Del Turco lo era. Abbiamo avuto ragione.
Anche sulle nuove inchieste di Sanitopoli (dopo Roma, oggi tocca a Milano con la bufera sul Galeazzi) continuiamo a mantenere la nostra linea: diamo tutte le notizie, ma dubitiamo. Non basta sbattere lì qualche intercettazione, parlare di yacht e jet set, elicotteri e tribuna vip per dimostrare la colpevolezza di nessuno. Per dire: nelle carte si contesta a Feltri addirittura la solidarietà espressa al suo editore all’indomani del suo precedente arresto nel 2006. Mi pare una stupidaggine. Così come mi pare una stupidaggine anche solo immaginare che Feltri possa essere usato come strumento di pressione da chicchessia. Avendo avuto la fortuna di aver lavorato con lui, anzi: di essere cresciuto alla sua scuola, posso garantire che è talmente libero che l’unico da cui accetta di prendere ordini è il suo cervello.

E qualche volta disobbedisce pure a quello.

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