Curioso. Mentre lindustria dellauto Usa va a picco, tra debiti e ristrutturazioni, alcuni mitici modelli del tempo che fu - i primi anni Settanta, quando gli americani andavano davvero veloci - furoreggiano al cinema. La Ford Grand Torino bicolore, che fu anche di «Starsky & Hutch», dà addirittura il titolo al bel film di Eastwood. La Dodge Charger e la Chrevolet Chevelle rombano orgogliosamente nel quarto «Fast & Furious», sfidando le giapponesi. E non sarà un caso che Tarantino, nel suo «Grindhouse», abbia richiamato in servizio una Chevy Nova, facendola guidare al brutale Kurt Russell, ma soprattutto limmacolata Dodge Challenger di «Punto zero». Un film di culto per chi nel 1970 aveva attorno ai ventanni e si rispecchiava, gusti e comportamenti, in un certo ribellismo alla «Easy Rider». Diretto da Richard Sarafian e interpretato da Barry Newman, «Vanishing Point» (titolo originario) nutrì una generazione di cinefili. Road-movie antagonista, anarchico, romanticamente ingenuo, racchiuso nel nome del protagonista, Kowalski. Un ribelle senza causa, il pilota anfetaminico che, guidando allimpazzata la sua Challenger bianca targata OA-5599 per 1.400 chilometri, da Denver a San Francisco, diventò simbolo dellinsofferenza giovanile verso ogni forma di vincolo e autorità, polizia inclusa.
Scrive Marco Videtta in «La fuga impossibile. Il mito del viaggio nel cinema americano»: «La tecnologia si spiritualizza. Lauto è lappendice corporea delleroe, Kowalski parla poco perché ha poco da dire. La sua espressività è tutta comportamentale». Magari oggi Kowalski, con la sua rabbia giovane compressa nei pistoni della Challenger bianca, sembrerebbe solo un fesso al quale ritirare la patente.
Fenomeno Quando i piloti sono i veri «protagonisti»
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