Ferenc Pintér anticomunista in punta di matita

Perché eravamo bambini e perché i libri erano ciò che dovrebbero essere: materiale da sogno. Non c’era nessuna polvere radical-chic o intellettualoide depositata sulle loro copertine: per questo ce le ricordiamo così bene. E - naturalmente - ce le ricordiamo anche perché è stato Ferenc Pintér a disegnarle. Esiste - insieme a quello di Hugo Pratt e Jean Michel Folon - un tratto più memorabile del suo, agli occhi di un bambino appassionato di sogni e di letture? Pintér è l’illustratore che, in pratica, ha creato la nostra memoria collettiva degli Oscar Mondadori, almeno quelli pubblicati fino ai primi anni ’90. Pintér ha influenzato persino la nostra ricezione di quegli stessi libri.
Di Pintér è stata appena inaugurata a Cantù la mostra «Ferenc Pintér. Manifesti e altro» dove potremo incontrare - per la seconda volta dopo l’infanzia? - l’inconfondibile stile di questo celebre illustratore, declinato però su soggetti politici. A Villa Calvi, infatti, saranno esposti 50 manifesti di impegno sociale e culturale, quasi tutti realizzati a tempera o con tecniche miste, nonché molti disegni per le copertine degli Oscar Mondadori, più alcuni bozzetti editoriali. Il catalogo, a cura di Giampaolo Mascheroni e Peppo Peduzzi, è edito da La vita felice (pagg. 96, euro 20). Mostra e libro sono un ottimo pretesto per mettersi sulle tracce di Pintér.
Suo padre József era un pittore ungherese, mentre la madre, Anna Antonazzi, era di Firenze. Ferenc nacque quasi casualmente in Liguria, ad Alassio, nel 1931: suo padre si trovava lì per dipingere la hall di un albergo della Riviera. Nel 1940 la famiglia si trasferì a Budapest, dove, pochi anni più tardi, l’Accademia di Belle Arti trovò il modo di respingere il giovane Pintér per ben tre volte, nonostante il suo precoce talento. Il motivo è presto detto: Ferenc era un anticomunista e quelli erano gli anni più feroci del totalitarismo sovietico. Il giovane riuscì però a partecipare alla seconda Mostra del Manifesto Ungherese, che gli diede un po’ di visibilità, e, nel 1956, dopo la repressione del tentativo di rivoluzione, raggiunse l’Italia.
Dopo aver fatto grafica pubblicitaria (il murale «Monopolio Tabacchi» per la Fiera di Milano), il consolidamento professionale e umano fu nell’editoria: la collaborazione con Mondadori durerà trentadue anni. Il primo Oscar che illustrò fu l’Iliade, poi vennero Grazia Deledda, Pavese, Kerouac, e ancora Cassola, Mastronardi, Parise. Le copertine che Pintér disegnò per la Deledda, con la loro scabra atmosfera «sarda», gli interni di case desolate con figure di una legnosità viva, sono rimaste giustamente famose, come d’alttronde quella per Lo smeraldo di Soldati, due semplici linee a rappresentare un sesso femminile, una semplicità dimessa, coraggiosa, che invoglia al sogno e al desiderio.
Ma è soprattutto con gialli et similia che Pintér guadagnò la popolarità, per quanto il suo nome sia sempre, nelle copertine, cinquanta volte più piccolo di quello degli autori (ma questo è destino bene accetto di tutti i grafici editoriali, come dei traduttori). La collana «Segretissimo», per la quale dipinse 14 copertine, l’intero restyling della sezione Oscar dedicata a Georges Simenon, il cui commissario Maigret venne trasfigurato da Pintér sui tratti di Gino Cervi, e poi la collana «Omnibus gialli», con le voluminose raccolte dei romanzi di Hadley Chase, Edgar Wallace, Ellery Queen, Donald Westlake: Pintér immaginò e disegnò un’intera epoca editoriale.

Atmosfere surreali, dalla forte espressività, quasi ci fosse di mezzo un Francis Bacon a dettare alcune angoscie che però si smorzano presto in tratti quasi fumettistici: come non salutare le sue copertine - un pomeriggio d’autunno, davanti a una bancarella di libri usati, mano nella mano con qualcuno - senza un sorriso di nostalgia?

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