In ferie due mesi l’anno E per fare carriera basta solo invecchiare

Viaggio tra i benefici dei giudici. Roia (Unicost): «Le cose stanno cambiando». Il penalista Pisapia: «La corporazione è intoccabile»

da Milano
L’avvocato Gaetano Pecorella ci provò nel ’98. Appena eletto deputato presentò una proposta di legge per ridurre le ferie dei magistrati. Più lunghe di un lenzuolo: 48 giorni, più le festività canoniche, più, è ovvio, le domeniche altrettanto sacrosante, più, visto che il sabato si lavora al rallentatore, la possibilità di trascorrere i weekend in spiaggia. «Naturalmente – racconta il penalista – non se ne fece nulla. Il mio progetto si è perso in un cassetto come quelli successivi». Ecco, il calendario così favorevole è uno dei privilegi, forse il più clamoroso, del potere giudiziario. La magistratura, come tutte le caste, gode di vantaggi che altre professioni nemmeno si sognano.
O, almeno, questa è la percezione dell’opinione pubblica. Gli interessati, naturalmente, respingono al mittente le accuse. I giudici sono troppo spesso sotto l’ombrellone? «Non mi pare – replica Fabio Roia, storico esponente di Unicost, la corrente centrista della magistratura e componente del Csm – i giorni di vacanza possono sembrare tanti, ma in realtà non incidono sull’andamento dei processi». Tutto il contrario di quel che pensa Pecorella: «Due settimane di fatica in più l’anno aiuterebbero a smaltire il gigantesco arretrato accumulato nel penale come nel civile. Ma la corporazione è intoccabile».
Un corpo compatto, quando si tratta di difendere certe prerogative, e dall’autostima strabordante. Sarà per questo che i controlli sulla professionalità sono sempre stati all’acqua di rose. In pratica per salire, nello stipendio come nelle funzioni svolte, bastava invecchiare serenamente senza commettere disastri. Il resto contava poco: chi si impegnava allo spasimo e si esponeva in inchieste delicatissime, da prima linea, guadagnava punti in carriera come chi passava la settimana a studiare l’itinerario per il tour del sabato e della domenica. Ora la situazione è cambiata? «Certo – risponde Roia – con la riforma Mastella del 2007 abbiamo introdotto controlli quadriennali, assai più stringenti che in passato». «In pratica – ammettono a Palazzo di giustizia di Milano – è tutto come prima». «Non è vero – insiste Roia – ora si possono controllare a campione i verbali d’udienza, ora gli avvocati possono dire la loro e alla seconda valutazione negativa si rischia il posto».
Questo, in teoria. «Per ora – spiega Giuliano Pisapia, penalista di ambrosiana efficienza – si è visto poco o nulla, speriamo di assistere a qualche cambiamento quando la riforma andrà a regime. Fino all’anno scorso i controlli erano di fatto inesistenti. Ci sono casi, non pochi, di magistrati del civile che fanno udienza due volte la settimana. Ci sono, un po’ ovunque, sacche di improduttività. E guai a parlare di verifica degli orari: il magistrato, anche l’uditore appena arrivato, non timbra e non deve dar conto del suo tempo a nessuno». Così, ancora una volta, gli estremi convivono: c’è chi spacca il minuto e chi si fa attendere come una star. Il mantello steso dal Csm e dall’Anm, il potente sindacato dei giudici, copre tutti. O quasi.
E l’Anm e il Csm, che al suo interno è diviso in correnti come un qualunque partito politico, spesso e volentieri assegnano con il bilancino le poltrone più pesanti negli uffici strategici del Paese.

«Un tempo l’unico criterio per arrivare agli incarichi direttivi era l’anzianità, ora valutiamo anche il merito e l’attitudine, ma certo – riconosce Roia – in questo modo è aumentata anche la discrezionalità delle scelte». Un fatto è certo. Chi è fuori dall’Anm e dalle sue logiche in certi posti non ci arriverà mai. Oppure dovrà fare ricorso al Tar, l’ariete che qualche volta ha abbattuto i privilegi della casta.

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