«Una mattina mi sento molto male, una febbre altissima, inspiegabile per i medici. Un'iniezione di antibiotico, è un tentativo, ma scoppia una crisi allergica. Mi salva il 118. Sei mesi alla ricerca di una diagnosi. Una febbre misteriosa, dicevano tutti e intanto comparivano noduli che si formavano ai vasi sanguigni delle gambe e drammaticamente calava la vista tanto che riuscivo ad intravedere soltanto luci e ombre».
Così Francesco Scuderi, trentenne, campione italiano dei 100 metri, olimpionico a Sydney, esordisce nel raccontare la malattia che qualche anno fa lo ha colpito nel pieno della sua forma fisica, costringendolo per qualche tempo a fermarsi dalle gare. Il dramma vissuto dall'atleta catanese, oggi risolto con successo tanto da fargli sognare le Olimpiadi di Pechino, si chiama Malattia di Behçet. È una patologia rara, altamente invalidante che può portare alla cecità ed a gravi danni neurologici e della quale non si conoscono ancora le vere cause. «I numeri della malattia sono piccoli e riguardano giovani tra i venti e i quarant'anni che nel pieno della loro vita professionale e di relazione, vedono bloccata la loro esistenza», spiega Ignazio Olivieri, direttore del dipartimento di reumatologia, regione Basilicata, ospedale San Carlo di Potenza e Madonna delle Grazie di Matera. «Non è una patologia visibile. Solo quando i danni gravi, neurologici e oculari, si sono manifestati, la identifichiamo. Per questo è importante intervenire precocemente con la diagnosi e la terapia». Ma non è semplice. In Italia sono pochi i centri specializzati che pur avendo l'indicazione per questa malattia hanno un'esperienza sufficiente per formulare una diagnosi tempestiva. Così molti pazienti, prima di sentirsela diagnosticare attendono anche tre, quattro anni. Quanto alla cura oggi a disposizione c'è un farmaco biologico, infliximab, la cui efficacia nel bloccare la malattia è stata dimostrata in studi internazionali.
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