Festa d'Israele minacciata e Pisapia resta in silenzio

Di fronte alle minacce dei facinorosi il sindaco si è mostrato tremebondo delegando la decisione al governo. Estremisti sconfitti: la kermesse di Israele sarà in piazza Duomo

Festa d'Israele minacciata 
e Pisapia resta in silenzio

A Milano cambio di sce­na su sfondo arroventato. Si torna dal Castello Sforzesco in piazza del Duomo. Sem­bra che quella orribile malat­tia dei nervi per cui alcune mi­gliaia di persone fantastica­no cose insensate su Israele, ovvero sugli ebrei se vogliamo dirla tutta, sta­volta non riuscirà nel suo ef­fetto intimidatorio, spran­ghe, kefiah sul volto, sfasci e botte non faranno chiudere bottega a Israele: la mostra, che dal prossimo 12 giugno è programmata per una setti­mana in piazza del Duomo a Milano avrà luogo nonostan­te le minacce di violenza dei vari «centri sociali» e gruppi filopalestinesi, e nonostan­te l’att­eggiamento un po’ tre­mante del sindaco Pisapia al­la sua prima prova.

Il gover­no ha detto la sua. Era una prova fatale per il nuovo eletto, difficile pro­prio perché di fronte al tema di Israele si mette alla prova l’anticonformismo di chi sa opporsi alle correnti gelide dell’ignoranza, si misura la nobiltà o la pusillanimità di chi osa, oppure no, risponde­re alle bugie più tipiche del nostro tempo: quelle di chi basta dire diritti umani e sei ok anche se di quelli dei siria­ni, degli iraniani, dei cinesi non te ne importa niente, di chi scambia il diritto all’au­todifesa con il colonialismo, di chi blatera di apartheid, pulizia etnica e non sa di che cosa stia parlando. Insom­ma, sarebbe stato interes­sante vedere Pisapia sfidare il comune cattivo senso del­la sinistra estrema su Israe­le. Il nuovo sindaco di Mila­no, invece, di fronte alle mi­nacce dei facinorosi antisra­eliani, sempre i soliti e pro­babilmente, e non lo dicia­mo con malizia, fra i suoi elettori, non li ha respinti con perdite dicendo che lui difende la libertà di espres­sione e che Israele ha un di­ritto speciale alla parola per­c­hé è l’unico Paese democra­tico del Medio Oriente in mezzo a una selva di dittato­ri e di integralisti islamici. Ha invece scelto una dichia­razione sussurrata, deman­dando a Roma le scelte sen­za esprimere un’opinione sulla sua piazza, e ha aggiun­to che lui crede in due Stati per due popoli, cosa in cui credono tutti, da Netanyahu a Obama, da Berlusconi a Di Pietro. Ma in quel contesto è apparso come un escamota­ge che evita accuratamente di prendere posizione sul­l’indispensabile difesa del diritto di Israele all’espres­sione, al pensiero, al dialo­go.

A esistere senza essere delegittimato da calunnie e violenze. E sì che era facile dire alme­no che in quella gran piazza è stato messo in mostra di tutto, dalla preghiera musul­mana all’alberone di Natale alle più varie kermesse, e che non si capisce come si possa pensare di applicarle ora lo judenrein . Se si guarda il documento di quelli che avevano minac­ciato di dare fuoco alla città minacciata dall’occupazio­ne ( sic ) israeliana solo a cau­sa di una mostra che parla di bellezza, di medicina, di let­teratura e di tecnologia, ep­pure viene spontaneo ri­spondere: per i firmatari del­l’appello contro Israele non c’è bestialità che non possa essere scritta. La «violenta cacciata dalla Palestina» si ri­ferisce alla guerra che nel ’48 fu dichiarata dagli Stati arabi a Israele rifiutando la partizione dell’Onu e che im­pose, per iniziativa araba, a molti palestinesi di andarse­ne mentre Ben Gurion li invi­tava a restare; «l’apartheid come prassi quotidiana» è secondo i minacciosi sotto­scrittori del documento, quella dell’unico Paese de­mocratico dove arabi, drusi, circassi, ebrei, hanno gli stessi identici diritti e insie­me gestiscono Parlamento, strutture pubbliche, ospeda­li, università, tribunali. Il «muro» di sicurezza è per la gran parte un recinto che ha bloccato di fatto la strage di israeliani per mano di terroristi suicidi, e la guer­ra contro Hamas a Gaza niente altro che un tentativo di difendersi dall’attacco continuo di missili e terrori­sti. Eppure questa monta­gna di bugie ha suscitato pa­recchio spavento e ha per al­cune ore messo la città sotto scacco. È difficile accettare che la civilissima Milano, l’Europa d’Italia, possa ac­cettare senza rispondere al­l’estremismo che inneggia alla prossima Flottilla e chie­de il boicottaggio dello Stato ebraico: eppure per un paio di giorni il clima è stato di in­timidazione senza risposta.

È evidente nel disegno dei facinorosi un violentissimo odio contro gli ebrei, il dise­gno di cancellare le magnifi­che conquiste di questo pic­colissimo Paese, di doverne ammettere l’eccellenza eco­nomica, artistica, tecnologi­ca, il numero esorbitante di premi Nobel, le scoperte me­diche che salvano tutti i gior­ni milioni di persone.

Se si vuole boicottare il terribile imperialismo israeliano, per essere coerenti occorre anche abbandonare il telefo­nino, migliorato nelle sue versioni contemporanee dalla Motorola israeliana, spegnere il computer, dram­maticamente cambiato dal­la tecnologia israeliana. Non si tratta solo di smettere di mangiare pompelmi, ma di rinunciare ad alcune fra le migliori invenzioni.

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