Politica

LA FESTA DI AN Fini: ecco le condizioni per dire sì alla missione

Luca Telese

nostro inviato a Cerignola (Foggia)

Chiuso nell’abitacolo del piccolo aereo privato che lo sta portando in Puglia, Gianfranco Fini disegna con il dito sul vetro del finestrino un segmento. Poi sorride. «Voglio scrivere un ordine del giorno così, di una riga, massimo due e ci deve stare scritto che tutte le missioni militari dell’Italia, dall’Afghanistan all’Irak, sono state missioni di pace. Che sono state fatte rispettando l’articolo 11 della Costituzione, che per questo le ha controfirmate Ciampi, poi voglio vedere, se loro non lo votano». Loro ovvero il centrosinistra. E quella mozione che Fini disegna nell’aria, il leader di An la illustra in piazza, poche ore dopo, quando in un affollatissimo comizio a Cerignola, chiude il trittico di incontri pubblici che hanno segnato il suo ritorno. Asciutto, abbronzatissimo, tonico. Il presidente di An si trova ormai da giorni di fronte a piazze strapiene, buonumore. «Non è che io sia uno che sogni l’opposizione. Però, adesso che non siamo più al governo - sorriso - ci divertiamo anche noi». Il divertirsi vuol dire reimpostare la politica del suo partito: e quindi, rivendicazione orgogliosa dell’attività di governo, critica durissima alle «controriforme» dell’Unione (indulto, liberalizzazioni, droghe) e paletti ben piantati sull’identità del centrodestra. Un messaggio molto chiaro a Casini sulla leadership della Cdl («Bisogna essere realisti, il 9 aprile Forza Italia ha preso il 24 per cento, noi il 12, l’Udc il 6, il realismo vuole che non si possa prescindere da chi ha preso il 24 e nemmeno da chi ha il 6 per cento»).
A Caorle, alla festa della Margherita, si era arrivati al paradosso di essere applaudito «fuori casa» (con tanto di recriminazione dei margheritisti: ti sei portato la clacque). A Mirabello la più antica delle feste del suo partito 5mila sotto il tendone e ovazioni a scena aperta. Qui in Puglia, la formula è quella del botta e risposta (senza rete) con il direttore di questo giornale, Maurizio Belpietro. Domande e risposte non telefonate, che regalano alla platea anche qualche intermezzo assai godibile: «Casini, che fino a prova contraria è un vostro alleato...», dice Belpietro ironico. E Fini, con una voluta gag: «Non condivido la domanda». E Belpietro: «La prima o la seconda parte?». Il presidente di An: «Non condivido il suo giudizio impietoso». Oppure, quando il direttore del Giornale mette un po’ di sale nella sua domanda: «Il suo progetto prevede un accordo fra produttori di beni e produttori di valori, posso riassumere dicendo che pensate a una cosa che sia vista di buon occhio dalla Confindustria?». E Fini, con un altro sorriso «per l’amor di Dio no, non esemplifichi». E perfino i dettagli sul posizionamento del palco sono spunto per battute: «Vedo che l’hanno posizionata al centro presidente....», sorride in apertura Belpietro, e Fini, impugnando il microfono «no, se io sono al centro vi pare che Salvatore (Tatarella, ndr), sta a sinistra?».
Ma a parte il ritmo serrato, i convenevoli, le allusioni ironiche, il primo nodo sul tappeto è davvero il Libano. «Un uomo di governo - intonazione vagamente canzonatoria - uno stimato economista come l’onorevole Cento - sorrisini in platea - dice: “Sulla missione il centrodestra deve votare”. Be’, se l’atteggiamento è quello dei vari Cento, qualche problema lo avranno, noi non siamo per un’opposizione pregiudiziale e a condizioni che loro ammettano che le missioni in Irak e Afghanistan erano e sono di pace, siamo disposti a fare la nostra parte». Belpietro: «E se non accadesse?». Fini: «Noi presenteremo un ordine del giorno che ribadisce questi contenuti, e se loro non ne prenderanno atto, davvero potremmo prendere in considerazione di non votare». Poi, con un tono più riflessivo: «La cosa che non mi va a genio è che per molti nel centrosinistra, adesso che sono loro al governo, sembra che i nostri soldati non vadano più in missione con i fucili, ma con i mazzi di fiori e che non abbiano più un corredo di proiettili, ma di confetti. Io sono d’accordo con lo stesso Parisi, che ha ricordato più volte “quella in Libano è una missione difficile, pericolosa, impegnativa forse addirittura la più pericolosa”».
Il direttore del Giornale chiede: «Casini è andato in Iran, e dopo ha relazionato per telefono a D’Alema e a Prodi. Ha detto che l’esperienza della Casa delle libertà è finita. Lei che ne pensa, ha fatto un errore?». Fini scandisce bene le parole: «Questo non vuol dire minimamente che stia traslocando o che passi dall’altra parte, sono sicuro che nella visita ad Ahmadinejad Casini avrà ricordato le tante differenze che ci separano da lui, soprattutto quando i dirigenti iraniani ricordano che il primo obiettivo è la cancellazione di Israele. Detto questo, gli elettori della Casa delle libertà che il 9 aprile erano il 49,88% e che oggi forse sono già il 51, ci chiedono di continuare con la nostra opposizione in un modo chiaro e di non disperdere la nostra unità». Belpietro: «Forse Casini immagina la propria leadership?». Qui Fini fa il discorso delle percentuali dei diversi partiti del centrodestra e lo chiude così: «Il realismo vuole che non si possa prescindere da chi ha preso il 24%. Ma che senso ha oggi litigare fra di noi per scegliere chi dovrà sfidare il futuro leader del centrosinistra? Non dobbiamo fare come i capponi di Renzo di manzoniana memoria, soprattutto nel momento in cui la sinistra fa male, la sinistra non fa, o fa male quello che noi abbiamo fatto bene». E sul partito unico: «Farlo domani sarebbe un errore. Non è come fondere due aziende. Se lo mettiamo come punto di arrivo, allora sì. Partiamo con una federazione, con una stretta collaborazione di tutti i gruppi: parlamentari regionali e consiliari».
Di nuovo l’ironia irrompe nel dibattito. Belpietro: «Ma lo dica chiaramente, secondo lei Prodi quanto dura?». Fini spalanca gli occhi: «Ahh». Belpietro: «Ahh cosa?». Il leader di An: «Su questo tempo nemmeno Wanna Marchi può rispondere...», Belpietro, stando al gioco: «Forse il mago Otelma...». E Fini: «Sì, forse Otelma può, ci vogliono comunque delle arti divinatorie». E poi, facendosi serio: «Il nodo politico è questo, se si rompe questa Armata Brancaleone del governo, loro sanno bene che non rivinceranno nemmeno al Lotto. Se il governo cade, al potere non ci tornano più. Prodi, nove volte su dieci, non sa nemmeno lui che cosa deve comunicare, è il megafono di cose che non pensa. Per questo, credo che loro faranno di tutto per resistere».
Così, il segretario di partito rivendica l’orgoglio della legge che porta il suo nome. «Gli islamici hanno il diritto di chiedere rispetto, ma anche il dovere di rispettare le regole. Io in passato ho proposto il voto amministrativo per gli immigrati e non cambio idea, ma come si può accettare un governo che esordisce annunciando una sanatoria di 500mila persone o con un ministro che dice che per sottrarre i clandestini ai mercanti di morte forse è il caso di pagare loro il traghetto senza rendersi nemmeno conto dell’involontaria ironia? Il problema - spiega il leader di An - non sono 100mila o un milione di ingressi in più. Il problema è salvare il principio della legge: si dà il permesso di soggiorno a chi ha il lavoro».
Ultimo punto che sta a cuore al leader di An? Le droghe: «Su questo non facciamo sconti, altro che manifestazioni di piazza! Per noi la libertà di drogarsi non esiste. Se cercheranno di toccare la legge scenderemo per le strade a protestare». E proprio mentre sta andando via, l’ultima battuta. Sale sul palco Fabrizio Tatarella, leader dei giovani di Azione Giovani in Puglia, e gli consegna una targa, in cui fra le altre cose c’è scritto al lungimirante statista.

Fini la prende, la legge, e subito scherza: «Ma quale lungimirante? A me basterebbe poter dire, che vedo un po’ più in là della punta del mio naso».
Luca Telese

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