Ma non dovevamo vederci più? I Pooh ritornano con un tour di 14 concerti e la prima domanda, ma proprio la prima, è perché hanno deciso di rimettere piede sul palco dopo aver annunciato dieci anni fa la fine della loro storia insieme. Risposta semplice: i Pooh sono una storia che non è finita. E infatti Dodi Battaglia scherza: "Ora mi guardo bene dal dire che questa sarà l'ultima tournèe".
Insomma, lui con Roby Facchinetti, Red Canzian, Riccardo Fogli e Phil Mer (figlio di Red) inizieranno l'ennesimo tour il 25 e 26 settembre al ChorusLife di Bergamo proseguendo il 2 e 3 ottobre al Mandela Forum di Firenze e poi Torino, Roma, Forum di Assago, Eboli e Bari, due concerti per ogni città perché "tra una sera e l'altra cambieremo parzialmente la scaletta" spiega Red Canzian aggiungendo: "Non pubblicheremo nuovi brani perché già facciamo fatica a fare la scaletta degli show usando i 400 che abbiamo composto in sessant'anni di carriera, figurarsi se ne aggiungessimo altri". In effetti.
Comunque, guardateli i Pooh.
Sono qui davanti ai giornalisti, uno di fianco all'altro, scherzano come se fossero esordienti e invece sono in giro da sei decenni, tra alti e bassi, tra accordi e disaccordi. Conferma Dodi: "Ci sono stati screzi anche pesanti, ma a differenza di tanti gruppi lavorativi, non voglio dire band per non fare riferimenti, si siamo ripresi". In sostanza - lo dice Red - "siamo un piccolo miracolo, eravamo quattro ragazzi di quattro città diverse, non eravamo amici ma lo siamo diventati riuscendo a trasmettere un'idea di famiglia che resiste tuttora". Di quella famiglia oggi non ci sono più Valerio Negrini e Stefano D'Orazio, in sostanza i "parolieri" del gruppo e il tour "è ovviamente dedicato a loro" conferma Facchinetti. D'Orazio lasciò nel 2009, salvo poi tornare per la celebrare dal vivo i cinquant'anni del gruppo, perché "con onestà intellettuale disse non ho più nulla da dire, ho detto tutto". Valerio Negrini morì improvvisamente nel 2013 togliendo ai Pooh un serbatoio di ispirazione che aveva riflessi anche poetici.
Anche per questo, come quasi tutti gli artisti di lunghissimo corso, i Pooh sostanzialmente suonano i loro classici senza cercare nuovi pezzi e va bene così. Dopotutto i Pooh tornano per celebrare "la nostra storia" che è nostra di tutti, anche di chi magari non li ha mai ascoltati con particolare passione o magari li ha pure criticati ma li può cantare a memoria.
Dopo aver scandito i tempi del pop italiano con Piccola Katy, Pensiero, Chi fermerà la musica o Uomini soli (senza dimenticare Pierre, primo brano italiano ad affrontare il tema dell'omosessualità, era il 1976), i Pooh hanno macinato tremila concerti ovunque in giro per l'Italia, nelle piazze come nelle arene, convincendo pian piano una generazione dopo l'altra e diventando i primi ad avere un palco "tecnologico". Quando tutti gli altri in Italia si esibivano con gli amplificatori e gli strumenti e basta, i Pooh avevano laser e fumi e fuochi d'artificio, roba che oggi è abituale ma allora, fine anni Settanta, sembrava proprio dell'altro mondo, una grande wow come si dice oggi.
"Arriveremo in scena con la voglia di dire grazie a chi ci ha seguito per tre o quattro generazioni", conferma Red Canzian ma non c'era quasi bisogno che lo dicesse.
"Quando sono tornato nei Pooh piangevo tutte le sere prima del concerto", dice Riccardo Fogli che è stato per decenni lontano dai Pooh "ma noi siamo rimasti amici ci incontravano in giro e ci abbracciavamo sempre". Come una famiglia. Come una band che non riesce a finire. Insomma inizia un altro anno Pooh e almeno stavolta nessuno garantisce che sarà l'ultimo.