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Al festival degli INNI NAZIONALI la Spagna resta senza parole

La «Marcia reale» non ha un testo e Madrid indice un concorso per trovarlo

Al festival degli INNI NAZIONALI la Spagna resta senza parole

Il petto è tronfio, gli sguardi carichi, la concentrazione e l’adrenalina sono al massimo. Il pubblico dalla curva sventola le bandiere e si dimena. Quando la musica sfuma, in migliaia si lanciano in un urlo liberatorio. Ma è l’unico sfogo concesso alle migliaia di tifosi spagnoli che si riversano allo stadio per un evento mondiale e ai giocatori della nazionale pronti a battersi in campo per difendere il buon nome dello sport di casa loro.
Muti come pesci, i calciatori si tengono abbracciati mentre le note dell’inno nazionale scorrono. Questa volta, però, non c’entra la pigrizia né la complessità del testo. Nulla a che vedere con le polemiche che hanno travolto i campioni italiani qualche anno fa. Né con l’ignoranza in cui è stato colto a metà luglio il premier in pectore e papabile prossimo primo ministro belga, che alla domanda di un giornalista che gli chiedeva di intonare l’inno nazionale, ha cantato sì, ma ispirato dal patriottismo francese, si è lanciato sulle note della Marseillaise.
Gli spagnoli, tennisti e atleti professionisti di ogni genere, il loro inno nazionale vorrebbero urlarlo ai quattro venti. Ma non possono. Perché a differenza dei giocatori di qualsiasi altro Paese, dei francesi che urlano orgogliosi Allons enfants, degli inglesi con il loro God Save the Queen, degli italiani con Mameli, gli spagnoli - insieme agli abitanti di San Marino e ai bosniaci - sono gli unici ad avere un inno nazionale senza parole. Niente testo da recitare. Nessun orgoglio patriottico cui dare sfogo. Solo alcune note, accompagnate al massimo da un «la, la, la».
Frustrati da questo limite, i membri del Comitato olimpico che tenterà di strappare i Giochi del 2016, hanno pensato bene di indire un concorso per dare alla propria «Marcia reale» un testo da cantare in occasione delle competizioni sportive. L’inno è infatti fra i più antichi al mondo (risale al 1770) e solo durante la dittatura di Franco è stato accompagnato da un testo che - per ovvie ragioni - è poi finito nell’oblio. La questione, al di là delle facili ironie, è seria. «Quando risuona l’inno e l’atleta va a ritirare la medaglia, le emozioni sono intense», dice Alejandro Blanco, presidente del Comitato olimpico. «La Spagna è un Paese in cui la gente canta a ogni occasione. Allora perché non dare agli spagnoli la possibilità di farlo anche in occasioni sportive importanti?».
La sfida, insomma, è partita. Ma la politica, anche in questo caso, gioca la sua parte. Perché entro settembre una commissione parlamentare dovrà scegliere il testo più adatto a rappresentare l’orgoglio di un Paese. Si prevedono almeno cinquemila proposte, ma le divisioni sono già evidenti e - a quanto sembra - inconciliabili.
Se l’inno fosse troppo patriottico, il rischio sarebbe quello di rievocare l’era della dittatura franchista, se lo fosse troppo poco si correrebbe il pericolo di solleticare le spinte nazionaliste dei baschi o dei catalani. La sinistra si è affidata a Joaquim Sabina, cantante dalle simpatie repubblicane. «Niente sudditi né padroni, né rassegnati né biada per cannoni», recitano le parole proposte dall’artista, che si è guardato bene dal menzionare la monarchia. La destra, invece, ha puntato sul giornalista Enrique Hernandez-Luike. «Madrepatria, imbraccia le armi», «tutti i tuoi figli ai piedi della bandiera» sono i versi inventati dal reporter. Ma quel «melting pot di culture» cui fa anche riferimento il testo del giornalista non sembra molto gradito ai nazionalisti.
Anche José Maria Aznar ci ha provato negli anni alla guida del governo. L’ex premier aveva assoldato alcuni poeti, ma con scarsi risultati. «Un’idea irrealizzabile chiedere a un gruppo di poeti di accordarsi su un verso», aveva commentato lo scrittore e storico Juan Juaristi.
Gli spagnoli però ora fremono. Soprattutto gli sportivi. Dateci un testo, purché ce lo diate, è il messaggio lanciato dai campioni spagnoli.
«Prima di una partita, quando sento i francesi, i tedeschi o qualche altro avversario cantare, mi sento strano», dice Iker Casillas, portiere della nazionale di calcio. Più agguerrito Carlos Moya, tennista: «A noi non capita spesso di poter cantare il nostro inno. Ma io lo farei volentieri se ci fossero le parole. Sono più che favorevole».

Chissà che questo non aiuti a portare a casa qualche medaglia in più.

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