È il festival dei sogni e la Di Martino vola alto

Quelli della notte ci hanno dato la sveglia. E i mondiali di atletica ci hanno regalato il festival dei sogni e dei sognatori. Ogni mondiale è un festival di sogni e sognatori, ma vederli così, tutti insieme appassionatamente, è linfa di ogni sport. Ci siamo ritrovati finalmente con una little Italy per cui andare orgogliosi: i salti perfetti di Antonietta Di Martino, la corsa coraggiosa di Daniele Meucci che ha trovato un posto per la finale di domenica nei 5000 metri, ripescato grazie al 13° tempo, dopo aver passato metà corsa in testa, aver tenuto il ritmo del gruppo fino alla volata dove gli africani hanno messo il turbo.
Abbiamo riscoperto il big (un po’ dream) team Usa che ramazza ori e sfonda muri, magari africani. Abbiamo scoperto il keniano Kemboi darsi ad una danza molto «bolt-oniana» dopo aver vinto i 3000 siepi. E infine lo stadio di Daegu e il mondo dell’atletica hanno gioito per il suonatore di violino di questi mondiali che ha realizzato il sogno di ogni atleta con due gambe, figuriamoci lui che le gambe non le ha: Oscar Pistorius ha trovato la finale del suo amore per l’atletica, primo frazionista della 4x400 ha lanciato il Sudafrica a caccia del terzo posto, con tanto di record nazionale, nella semifinale vinta dai siluri americani seguiti dai giamaicani (che hanno perso Powell per la 4x100). La Iaaf gli aveva ordinato la prima frazione (per evitare che le sue protesi potessero danneggiare altri atleti), e non gli ha fatto certo un favore, tutt’altro. Ma Pistorius è stato buon frazionista, prima di imbizzarrirsi nel passaggio del testimone quasi da fermo. Oggi, in finale, se il sogno si tramutasse in realtà, l’atletica potrebbe riscrivere il manifesto dello sport universale. Per ora ha reso felice un uomo che ha sofferto. Leggete le parole sue: «Sono fiero di me stesso, ed il fatto che siamo andati in finale mi rende ancor più felice».
I sogni della notte (italiana) ci hanno riportato in volo con Antonietta Di Martino che ha passato senza intoppi al primo salto, e con bella faccia, tutte le misure della qualificazione: 1,80; 1,85; 1,89; 1,92; 1,95. E come lei le più brave della compagnia: la superba Vlasic, la preoccupante Chicherova e l’intraprendente americana Barrett. Fuori, fra le grandi, solo la spagnola Beitia. L’Italia che spera, sogna e si aggrappa alla speranza di medaglietta ha sempre puntato tutto su nostra signora del salto in alto.
E lei non è personaggio che si tiri indietro. Appuntamento domani, ma nostra signora è un fiore di serenità e di agonismo. Come ha dimostrato anche ieri. Tra parole e fatti. «Nei primi salti ero come di pietra. Avendo una sola vera gara alle spalle, temevo di farmi prendere dall’emozione. Anche il caldo si faceva sentire. Poi mi sono sciolta». E via. Imbottita nelle scarpe per il dolore all’alluce che la condiziona («sembro una mummia»). Salta che ti passa. Un po’ come è successo a Jesse Williams, l’americano bianco, fratello di un pastore Batista, che ha lottato nella vita anche per sbarcare il lunario e ieri ha trovato fine ai suoi tormenti: non ci prendeva mai nei grandi appuntamenti, stavolta è salito con 5 salti perfetti fino a 2,35. Tanto è bastato per riportare l’oro agli Usa, venti anni dopo Charley Austin.
Ori Usa e oro Usa nelle gambe delle ragazze terribili: oggi le scarpe rosa di Carmelita Jeter proveranno a doppiare l’oro dello sprint nei 200 metri. E se Angelo Taylor ha fallito l’appuntamento con i 400 ostacoli, vinti dal gallese di Gran Bretagna (prima medaglia) David Greene, LaShinda Demus, un’altra mamma di successo (due gemelli), guidata tecnicamente dalla mamma e dal marito, ha riscattato l’onor di bandiera, con una corsa a 13 centesimi dal record del mondo.

E come dimenticare lo sguardo stralunato, e felice, di Jennifer Barringer-Simpson, siepista adattata ai 1500 metri quando si è vista sola e vincente, dopo aver bucato il muro delle africane che hanno vinto l’oro dei pasticci e delle illusioni perdute? Agli americani non capitava di vincere dai tempi di Mary Decker, anno di grazia 1983: Jennifer nacque tre anni dopo.

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