La fiaba che sfida il comunismo

Le cose erano chiare sin dall’alba della cosiddetta «rivoluzione». Divennero più che chiare, negli anni a venire. E a voler ascoltare la penna implacabile di George Orwell, milioni di persone si sarebbero risparmiate illusioni, sofferenze, tragedie. Orwell fu uno dei primi intellettuali a saper smascherare l’essenza dell’utopia comunista e cioè, per dirla con Aleksandr Soljenitsin, «la menzogna». Ne «La Fattoria degli Animali» (Animal Farm) - testo del 1944, dunque ancora in pieno conflitto mondiale - lo scrittore inglese aveva scelto la strada dell’allegoria per smascherare le follie del comunismo sovietico e il culto della personalità del «piccolo padre» Josif Stalin: oggi quell’opera è stata digerita anche dai più nostalgici difensori della «necessità storica» dell’Urss, e dunque la Fattoria orwelliana può permettersi di insegnare e ammonire anche in senso più lato. Allora, la scomoda parabola orwelliana dovette sfidare l’imbarazzo del mondo intellettuale e politico (l’Urss, dopotutto, era ancora alleata nella lotta contro il nazismo). Alla fine, vinse questo canto sarcastico e tragicomico sulla feroce tentazione del potere e sulla manipolazione dei desideri delle masse. Tale è la freschezza e la modernità del racconto di Orwell che la compagnia Palkettostage decide di portarlo in scena in lingua originale e con taglio minimalista nella scenografia e nei costumi. In cartellone Al Teatro Carcano lunedì 16 febbraio (con doppia replica in matinée per le scuole, martedì 17 alle ore 8.30 e 11.30), Animal Farm è un capitolo della ricerca teatrale di questa compagnia specializzata dalla metà degli anni ’80 in spettacoli in lingua originale inglese, francese e spagnola: un viaggio nella dicotomia tra Bene e Male e nel conflitto che questi due elementi scatenano nell’animo umano. Senza dubbio, un testo come quello di Orwell costringe lo spettatore a misurarsi con quella particolare forma di Male - il totalitarismo ideologico - che conquista il consenso promettendo un futuro, seppur lontano, di assoluto Bene: il gulag e i processi oggi, per il paradiso egualitario domani. La storia di Animal Farm è celeberrima: rievocando la Rivoluzione Russa, Orwell immagina che gli animali, guidati dall’avanguardia dei maiali, prendano il potere in una fattoria. Più che una rivoluzione l’operazione si rivela un colpo di stato, in seguito al quale le utopie di eguaglianza e fraternità si trasformano in una oligarchia prima e in una dittatura, del maiale Napoleone, poi. Seguendo l’antica regola di Esopo e di Fedro, Orwell distilla una «favola» claustrofobica, dove a finire soffocata è la libertà, in primis quella individuale.

L’adattamento scenico di Palkettostage - per la regia di Johnny Kemp - resta fedele al linguaggio orwelliano, e sceglie, per i costumi, dei travestimenti elementari e accennati: nessuna maschera animalesca, ma sagome di stoffa e cartapesta vestite dagli interpreti sopra salopette blu da operaio. La postura «animalesca» dei protagonisti, poi, fa ovviamente il resto.

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