Una fiaba innevata in discesa libera

Un anziano montanaro inforca gli sci per un «pellegrinaggio» fino al Papa e al mitico Zeno Colò

Un paio di mesi fa, sulle pagine culturali di un quotidiano lessi che Niccolò Ammaniti e Franco Matteucci avrebbero partecipato al Premio Strega di quest’anno. Considerato tutto il fiato dato alle trombe mediatiche in favore di Ammaniti, pensai che lui avrebbe vinto quel premio. Matteucci, pensai, avrebbe potuto essere un altro dell’ambìta cinquina dei finalisti che io, per puro gioco letterario avrei immaginato così: Tullio Avoledo vincitore con Breve storia di lunghi tradimenti (Einaudi) e, a seguire, Ammaniti con Come Dio comanda (Mondadori), Franco Matteucci con Il profumo della neve (Newton Compton), Laura Bosio con Le stagioni dell’acqua (Longanesi), Liviano D’Arcangelo con Andai nella notte illuminata (peQuod) ex aequo con Ernesto Aloia con I compagni del fuoco (Rizzoli).
Ora ho sotto gli occhi il breve ma intenso romanzo di Matteucci, autore che ho molto apprezzato per la straordinaria ricchezza e originalità stilistica del romanzo Festa al blu di Prussia. In questa nuova fatica, che poi non appare tale considerando la fluidità estrema di questa immaginosa e quasi allucinata «fiaba natalizia», lo stile è sempre impegnatissimo in una tregenda di dilatazioni espressionistiche lessicali e grammaticali («quel bianco che spara in testa cocaina», «quella luna piena è una gran frittata», «gli occhi che chiedono il perdono di esistere», «il sole strina le cose»...). La vicenda narrata è quella di un anziano montanaro da poco toccato al cuore da un infarto, attualmente rabberciato, che si avventa sui vecchi e amati sci per un’infinità di chilometri fino a raggiungere - dopo essere partito dalle sue montagne innevate - Roma, anch’essa d’un biancore nevale accecante, e piazza San Pietro, e ad avere un incontro con papa Wojtyla.
Ma cos’è questo romanzo? Una fiaba? La metafora d’una vita inebriante conclusa da una morte pacificatrice? Oppure la storia d’una reale allucinazione del protagonista che, sentendosi mancare durante la sua temeraria impresa, crede d’imbattersi in ciò che non ha mai avuto: la possibilità di competere con il campione di sci più grande d’ogni tempo, Zeno Colò, poi d’incontrarsi con la bellezza femminile nel suo più fresco e intenso rigoglio (Svetlana), e infine di avvertire in sé un pieno consenso all’armonia dello spirito e al crisma d’una religiosità potentemente umana (Giovanni Paolo II)? La soluzione di questo mistero non è chiara.

Ma è forse questo che si prefigge l’autore: lasciarci in un mistero in cui risieda il fascino di questo testo davvero inconsueto.

Franco Matteucci, Il profumo della neve (Newton & Compton, pagg. 125, euro 9,90).

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