Le fiabe di Calvino «danzate»

Matteo Failla

In una nazione come la nostra, in cui ogni genere teatrale ha una propria precisa etichetta, è alquanto difficile riuscire a far rientrare il coreografo danzatore Giorgio Rossi in una categoria teatrale prestabilita; meno male che ci ha pensato lui stesso a trovare una calzante definizione del suo operare: teatro poetico del movimento. Giorgio Rossi, co-fondatore di Sosta Palmizi - lo storico collettivo di danza nato nel 1985 dall’esperienza artistica della compagnia teatro danza della Fenice di Venezia, diretta da Carolyn Carlson - torna così in città con il suo nuovo spettacolo La favola esplosa, in scena al Teatro Litta fino al 19 febbraio. Uno spettacolo nel quale le fiabe italiane raccolte da Italo Calvino non si narrano ma si danzano; per viaggiare in un mondo onirico con la fantasia.
Partiamo dal titolo: perché “La favola esplosa”?
«Perché un giorno mentre provavamo è venuta a vederci Raffaella Giordano che ha esclamato: “Ma questa è una favola esplosa”. In quel periodo stavo proprio cercando dei titoli, e tutti giravano intorno al concetto di fiaba, visto che lavoravamo sugli archetipi della favola; mi sono accorto subito che nulla meglio di quella affermazione poteva rappresentare lo spettacolo».
I bambini che assistono allo spettacolo colgono con più facilità le connessioni tra le favole, gli adulti a volte hanno più difficoltà.
«Il teatro è sempre soggettivo, io ho riscontrato in tanti adulti una veloce comprensione come nel caso dei bambini. Il lavoro del resto pone il pubblico di fronte ad un “quadro non figurativo”, dove ciascuno può decidere se vedere nelle “macchie rappresentate” qualcosa oppure no. I bambini poi reagiscono diversamente a seconda dell’età: i più piccoli ridono tantissimo, sono affascinati dai nostri gesti strani e dalle movenze, gli adolescenti magari gridano di fronte a scene che riguardano il rapporto maschio femmina; gli adulti colgono questo insieme di spezzoni di favola tramite i gesti della danza».
Ma cosa vuol dire “teatro poetico del movimento”?
«Io ho un’origine teatrale eterogenea e ho difficoltà a collocarmi, così sono stato costretto a trovare una definizione al mio modo di lavorare. Credo che il titolo racchiuda in sé il significato, senza bisogno di ulteriori spiegazioni; ma a volte offro anche una diversa soluzione al problema: mi definisco semplicemente un “mammifero danzante”».
“La favola esplosa” è un insieme di tante fiabe: come avete lavorato alla messa in scena?
«Abbiamo preso la straordinaria raccolta delle favole italiane che ha messo insieme Italo Calvino; ne aveva raccolte mille e ne ha pubblicate duecento. Sono tutte molto brevi, alcune di una pagina, altre di cinque: noi le rappresentiamo con la danza. Quelli che potremmo definire i “brandelli di sensazione” che scaturiscono dalle favole si uniscono così l’uno con l’altro tramite la gestualità del corpo.

Del resto nelle fiabe ci sono sempre temi che ritornano, come quello della paura, dell’oscurità, dell’iniziazione. Il punto di forza dello spettacolo è l’emozione che crea la danza: noi descriviamo una fiaba attraverso l’emozione e la commozione. La danza svela ma non spiega, come del resto fa la fiaba».

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