Fiat, Marchionne mette Chrysler in vetrina

nostro inviato a Detroit

Sergio Marchionne, il risanatore della Fiat che la famiglia Agnelli si tiene stretto stretto, è alla prese con un’altra grande sfida: risollevare e ridare lustro alla Chrysler, la casa automobilistica che gli americani hanno sempre considerato «piccola» rispetto alla Gm e alla Ford, ma che rapportata alla Fiat è sicuramente un gigante. L’impresa non è facile. Il top manager italiano, però, dal 2004 a oggi si è costruito la fama di colui che non fallisce un colpo, smentendo anche qualche cassandra che si annida tra gli analisti e le banche d’affari.
Ma quella di oggi, per Marchionne, è una giornata speciale. Il top manager, divenuto da un anno a questa parte una sorta di pendolare transoceanico, si presenterà davanti ai giornalisti di tutto il mondo e al cospetto delle autorità americane come padrone di una delle più importanti realtà industriali del Paese. L’Auto Show di Detroit, che il 16 gennaio aprirà i battenti al pubblico, rappresenta infatti la prima vetrina pubblica della nuova Chrysler sotto l’egida Fiat. Proprio come il presidente Barack Obama chiedeva lo scorso anno nel momento in cui, davanti al Congresso, non solo accettava ufficialmente la proposta di matrimonio per la Chrysler arrivata da Torino, ma indicava chiaramente in Marchionne l’unica persona in grado di poter compiere il miracolo: salvarla. Un vero Oscar consegnato in anticipo al top manager e un incredibile spot direttamente dalla Casa Bianca a favore del gruppo Fiat e del «made in Italy». Ma a stupire ancora di più esperti e analisti, è stato il modo con il quale l’italiano Marchionne ha conquistato la Chrysler e ha fatto breccia nel cuore «verde» di Obama. Per il graduale assorbimento della più piccola delle ex Big Three, infatti, la Fiat non sborserà un dollaro. Un vero colpo di genio. La crescita della partecipazione, dal 20% attuale al 35% previsto, avverrà in concomitanza con il raggiungimento di determinati obiettivi: un 5% scatterà all’avvio della produzione del motore «Fire», di matrice Fiat, nel Michigan; un ulteriore 5% sarà invece correlato alla realizzazione del primo veicolo frutto dell’alleanza; mentre il successivo 5% è legato all’inizio delle vendite dei modelli Chrysler fuori dai mercati nordamericani.
Marchionne, comunque, già con il 20% della Chrysler è in questo momento il padrone dell’azienda per due buoni motivi: il top manager gode della fiducia incondizionata del presidente Obama e del Veba, il fondo previdenziale che detiene la quota maggiore del gruppo. E questo è un particolare da non sottovalutare, visto che in casa General Motors è il Tesoro a ricoprire il ruolo di primo azionista in virtù dei finanziamenti che hanno permesso all’ex costruttore numero uno nel mondo di evitare di sparire dalla faccia della terra, con conseguenze inimmaginabili per l’economia di Washington. La differenza, non tanto sottile, tra le due situazioni, al di là dell’importo inferiore che la Chrysler dove restituire al Tesoro (6 miliardi di dollari), ha una valenza soprattutto nell’impatto con la popolazione: sono i contribuenti Usa, attraverso il Tesoro nel ruolo di primo azionista, a finanziare il questo momento la Gm; alla Chrysler, invece, questa parte viene recitata dal fondo previdenziale dei dipendenti, gli stessi che Marchionne ha saputo conquistare nonostante gli inevitabili tagli e sacrifici richiesti.
Non è un caso, poi, che anche negli Stati Uniti il nome di Marchionne venga abbinato a situazioni di crisi che richiedono un intervento deciso e a colpo sicuro. Si pensava a lui, mesi fa, come successore ideale di Rick Wagoner al vertice della Gm, e ancora oggi si legge sui giornali che questo o quel gruppo «è alla ricerca del suo Marchionne». «Questo italiano - commentavano nei giorni scorsi alcuni concessionari Usa, ricordando la presentazione del piano di rilancio Chrysler dello scorso novembre - è l’unico top manager che guarda più ai fatti che ai flash e alle telecamere».
Ammainata senza alcun rimpianto la bandiera tedesca della Daimler, oggi sullo stand del gruppo Chrysler il pennone vedrà sventolare anche il tricolore.

E accanto alle Chrysler, alle Jeep e alle Dodge, ci saranno una Fiat 500 elettrica, una Delta «americanizzata» e, come ciliegina, una Maserati GranCabrio insieme alla Ferrari più estrema di tutte, la 599XX. Da oggi Detroit è più italiana, insomma.

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