Fiat, quattro buone ragioni per lasciare Termini

«È folle far morire un polo industriale come quello di Termini Imerese», ha chiosato ieri il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, invitando di fatto la Fiat a rivedere i propositi di abbandonare la produzione di automobili in Sicilia dalla fine del 2011. Scajola ha motivato la sua affermazione ricordando «la qualità del lavoro molto buona» e «gli investimenti importanti effettuati nel tempo». Tutto vero. Anche l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha esaltato, in più occasioni, l’aspetto qualitativo della fabbrica. Ma non basta. Sono almeno quattro le ragioni che fanno di Termini Imerese un insediamento anti-economico e non competitivo per il gruppo Fiat.
Prima di entrare nel dettaglio è opportuno fare un passo indietro, al 1970, anno che vede sorgere nel bel golfo tra Palermo e Cefalù l’impianto della SicilFiat. Una decisione, quella di destinare all’industria un’area a vocazione turistica e agricola, dal chiaro sapore di compromesso (e scambio di favori) tra la Fiat e le istituzioni locali, che all’epoca non fecero mancare il loro contributo economico. Da allora la fabbrica ha sempre prodotto un solo modello, legando quindi le proprie performance alla richiesta del mercato della vettura sfornata: prima la vecchia 500, poi la 126, la Panda, quindi la Punto (condivisa con Melfi e Mirafiori) e, per ultima, la Lancia Ypsilon. Sono 39 anni, dunque, che il polo Fiat di Termini Imerese sopravvive tra alti e bassi. «Ma il mondo è cambiato», ha ribadito Marchionne nei giorni scorsi e «la Fiat non può pensare di difendere tutto e di tenere tutti gli stabilimenti aperti; non è fattibile, è fuori di ogni logica industriale». Perché, allora, sacrificare proprio Termini Imerese? La spiegazione in quattro punti.
Primo. L’insediamento, dicevamo, è soprattutto anti-economico: produrre un veicolo in Sicilia costa circa 1.000 euro in più rispetto agli altri impianti.
Secondo. L’indotto è presente in misura ridotta, significa che la maggior parte dei componenti arriva a Termini Imerese dalle altre fabbriche del Paese con grande dispendio di risorse.
Terzo. Ad appesantire la situazione, inoltre, sono le dimensioni del sito: la taglia è ridotta e la produzione limitata. Il colpo di grazia è arrivato dalla crisi economica che ha dimezzato le vetture assemblate: 50-60mila rispetto a una capacità effettiva di 100-120mila unità.
Quarto. A tutto questo si sommano le lungaggini e le responsabilità degli enti locali che, per un motivo o per l’altro, hanno sempre ritardato gli investimenti per potenziare le infrastrutture e agevolare la presenza in loco di aziende della componentistica.
La Regione Sicilia, dopo le vicissitudini della precedente giunta, ha annunciato ora lo stanziamento di 400 milioni per sostenere il rilancio dello stabilimento Fiat. «Siamo pronti a contribuire - ha spiegato l’assessore regionale all’Industria, Marco Venturi - anche con il supporto di St microelectronics la ricerca per la realizzazione di motori ecologici. Noi vogliamo fortemente rilanciare il settore della metalmeccanica in Sicilia e ci siamo mossi concretamente per dimostrare alla Fiat il nostro impegno. Adesso tocca al Lingotto rivedere il piano e puntare strategicamente sulla produzione di auto nello stabilimento di Termini Imerese». Iniziativa lodevole, ma sicuramente giunta quando Big Ben ha già detto stop.
L’ultima parola, comunque, spetta a Marchionne e arriverà il primo dicembre, quando il top manager si incontrerà con il ministro Scajola per illustrare i piani produttivi e parlare di nuovi incentivi.

In giugno Marchionne si era impegnato a proposito del mantenimento di una presenza industriale torinese non meglio identificata a Termini. Resta da vedere se, trascorsi sei mesi e alla luce dei nuovi scenari, l’impegno resta valido e, in caso affermativo, come si concretizzerà.

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