Politica

«Le fiction di parte sono un vizio della Rai»

Luca Telese

da Roma

Ieri ha posto con forza il tema delle fiction «ideologiche», quelle che secondo lui infilano di contrabbando frammenti di identità politica nel grande contenitore del melodramma televisivo. Oggi Mario Landolfi, ministro delle Comunicazioni, ritorna sull’argomento con una riflessione più articolata e per certi versi anche sorprendente, nelle sue conclusioni.
Ministro, davvero lei si è arrabbiato per il monologo del commissario Montalbano sul G8?
«No. Quello non l’ho visto, avevo letto il contenuto e i virgolettati del copione in un articolo di giornale. È stato un’altra fiction a farmi arrabbiare, quella sul grande Torino».
Il passaggio incriminato quale era?
«Glielo racconto subito perché l’ho visto. Ero a casa mia, in poltrona, e mi ero anche appassionato alla storia, un buon prodotto televisivo... Ad un certo punto si arriva alla scena in cui uno dei ragazzi, di origine popolare, iscritto al Pci, si mette a difendere dei lavoratori sfruttati».
Perché crede che non sarebbe stato possibile?
«Non sono certo così rozzo. Solo che mi pongo il problema opposto: il comunismo è stato anche altro, in Italia e nel mondo, una dittatura totalitaria, un movimento politico che ha armato, per esempio, la mano dei carnefici delle foibe».
Anche su quello c’è stata una fiction, applauditissima dal ministro Gasparri.
«Certo, La luna nel pozzo, applaudita anche da me, e guarda caso fischiata dai comunisti. Non tutti ricorderanno che l’attore Leo Gullotta è stato incivilmente contestato, al congresso di Rifondazione, solo per aver recitato in quel film, ma... ».
C’è un però?
«Sì, ed è questo: mi stupisco dei due pesi e delle due misure: se bisogna citare un ragazzo che difende i lavoratori, allora bisogna dire che era iscritto e frequentava la federazione del Pci. Se invece bisogna raccontare lo sterminio delle foibe, si deve ricorrere al sinonimo che nasconde: gli jugoslavi cattivi non vengono mai definiti comunisti. Sono, per tutto il film solo titini. Le pare possibile?».
Lei sta denunciando una censura o un’autocensura?
«Né l’una né l’altra. Un tic culturale, un vizio. La cosa divertente è che tutto questo accade nella Rai che in tempi di regime dovrebbe essere occupata, almeno teoricamente dalla Casa delle libertà. Caso mai è in contrario».
Cioè?
«L’unico cacciato, a quanto mi risulta è stato un giornalista di destra come Giovanni Masotti».
Lei non lo ha difeso, però.
«Io penso che lui abbia sbagliato davvero a fare quelle dichiarazioni vittimistiche contro l’azienda. Però si poteva arrivare a un early warning. Un avvertimento, un cartellino giallo, insomma».
Però mi scusi, vediamola dal punto di vista degli autori: Camilleri è di sinistra e non lo nasconde. Se uno vuole il suo personaggio per vincere negli ascolti, si devono prendere anche le sue idee, o no?
«Chissà. Magari è il contrario: magari Camilleri ha infilato il monologhetto su Montalbano poliziotto “filogiottino” proprio perché sapeva che era sulla Rai».
Lei ha letto che accadono anche fenomeni opposti: il manifesto contesta Placido perché si permette di mettere nel suo film un personaggio che viene dal Movimento studentesco ma sta nella banda della Magliana.
«Ho visto. Il problema è che qui ognuno difende il suo pezzetto di storia, e cerca di fare del cinema e della fiction uno strumento di lotta militante. È proprio da questo che bisogna uscirne».
Come?
«Quando si parla della memoria del paese bisognerebbe sempre cercare una memoria condivisa, altrimenti astenersi dal propagandare la propria, magari attraverso il servizio pubblico. Io ho ricevuto molte lettere di protesta dopo questi episodi, sa?».
Finirà per indossare i panni del censore, allora?
«Noo, nooo! Non è questo quello che dico, non ci penso nemmeno per sogno. Curzi, giorni fa, ha detto una cosa verissima: il calcione del ministro può essere utile. Ecco, non so se questo è un calcio, spero che sia un avvertimento utile. Lei si ricorda cos’è successo a Moro».
Di che parla?
«Nella statua che gli hanno dedicato, non ha in tasca una copia del Popolo, ma dell’Unità. Ecco, io temo questo: lo spirito militante che produce grottesche riscritture della storia».
Vi dividerete le fiction per aree politiche, ognuno le sue?
«L’ultima cosa che vorrei sarebbero le fiction di partito. E bisogna avere buonsenso. Le faccio un altro esempio».
Quale?
«Il film di Marco Risi su Ustica, Il muro di gomma. Ecco, quello era un film fatto da un regista di sinistra, ma fatto bene, con rispetto, con stile, con tutte le versioni comunque contemplate».
Morale della favola?
«Bisogna essere liberi, ma mantenere prima di tutto il buonsenso e il senso delle proporzioni».
E se si sbaglia...
«Niente epurazioni.

Ma cartellino giallo sì».

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