Il fidanzato di Hina: «Da allora sono più duro con gli stranieri»

Tre anni fa la vittima era Hina. Uccisa perché troppo occidentale, anche lei sgozzata dal padre. Hina Saleem, la giovane pachistana massacrata nell’estate del 2006 a Sarezzo (Brescia), nella casa dei genitori. Il padre e due cognati sono stati condannati per quel delitto, uno zio è stato considerato responsabile di soppressione di cadavere. Tre anni fa Giuseppe Tempini era il fidanzato di Hina. Fu lui a lanciare l’allarme per la sua scomparsa e ad aiutare i carabinieri nel ritrovamento del corpo. Di fronte all’omicidio di Sanaa, ora Tempini ricorda. «Non ho dimenticato Hina - ha raccontato all’Ansa -, la penso spesso».
Rispetto a tre anni fa, qualcosa è cambiato. Perché Hina non c’è più, e perché non può dimenticare come è stata massacrata: «Da allora sono diventato molto più duro nei confronti degli immigrati. Credo che si debba essere più severi anche perché nelle loro nazioni d’origine non sono certo teneri». Giuseppe Tempini si è rifatto una vita: ora ha una nuova compagna, abita nella Bassa Bresciana. Nei mesi scorsi ha perso la madre colpita da Sla. «Si è ammalata - racconta commosso - e in un anno se n’è andata». Il suo avvocato, Loredana Gemelli, ora assisterà l’Associazione donne marocchine in Italia nella vicenda di Saana. «In occasione del processo per la morte di Hina non fu possibile la costituzione di parte civile, ma ora lo statuto dell’associazione è stato cambiato - spiega il legale -. Spero solo che, rispetto ad allora, ci sia una maggiore attenzione da parte delle altre associazioni femminili».
Per l’omicidio di Hina nel dicembre scorso è stata confermata in appello la condanna a 30 anni al padre, mentre è stata ridotta a 17 anni quella ai cognati. Confermata anche la condanna a 2 anni e 8 mesi allo zio materno della ragazza. Il processo d’appello ha stabilito che la motivazione culturale o religiosa non sarebbe quella che avrebbe indotto il padre a commettere il delitto.

Per la Corte d’assise d’appello di Brescia «addurre la motivazione culturale, nella fattispecie, appare piuttosto il tentativo di celare quello che è soltanto l’atteggiamento del padre-padrone che si vendica di un grave affronto subito dalla figlia». Il 12 novembre prossimo comincerà il processo di Cassazione.

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