Zamboanga (Filippine) - Dopo oltre una settimana di assoluto silenzio, il quotidiano di Manila Philippine Daily Inquirer è riuscito a ristabilire un contatto con uno dei tre operatori del Comitato Internazionale della Croce Rossa, tra cui l’italiano Eugenio Vagni, catturati il 15 gennaio scorso mentre erano in missione umanitaria sull’isola di Jolo, nell’arcipelago meridionale delle Sulu.
Mentre però nelle precedenti occasioni gli ostaggi avevano fornito rassicurazioni sulle loro condizioni complessive, pur avvertendo di aver bisogno di farmaci, questa volta sono suonate assai meno rassicuranti le parole di Mary Jean Lacaba, ingegnere filippina di 37 anni, la quale ha sollecitato le autorità del Paese asiatico ad «accelerare i negoziati» con i sequestratori, probabilmente guerriglieri separatisti islamici del gruppo ultra-radicale Abu Sayyaf: perchè, ha spiegato, dopo 44 giorni la detenzione nella giungla è diventata pesantissima da sopportare. Per tutti, compreso il compagno di prigionia svizzero, il 38enne Andreas Notter: ma soprattutto per lei e per il compagno italiano che, ha avvertito, soffrono di attacchi di diarrea. Vagni, anch’egli ingegnere, originario di Montevarchi in provincia di Arezzo, con i suoi 62 anni è tra l’altro il più anziano del gruppo. «Per favore», ha implorato la donna, che i rapitori hanno autorizzato a collegarsi con il giornale via telefono satellitare, «dite ai negoziatori del governo che, se possibile, se ne sono in grado, accelerino le trattative. È diventato tutto molto duro da sopportare, e veramente doloroso. Fisicamente ed emotivamente», ha insistito, «è davvero molto, molto dura. È difficile ormai per noi. Aiutateci», ha concluso, «in modo che le nostre sofferenze abbiano fine».
Le unità speciali dell’Esercito delle Filippine incaricate di salvare i tre addetti della Croce Rossa continuano dal canto loro a sostenere che i ribelli sarebbero ormai circondati in un ristretto lembo di foresta, dal quale non potrebbero più uscire: ma dopo un mese e mezzo la situazione non ha fatto registrare alcun progresso; anche se i militari ribattono che non hanno ancora lanciato un attacco a tutto campo per salvaguardare l’incolumità degli ostaggi, e permettere la prosecuzione dei negoziati, affidati a notabili locali. Abu Sayyaf, almeno fino a un recente passato finanziato direttamente da ’al-Qaedà, negli ultimi tempi è stato costretto a procacciarsi da solo il denaro con cui proseguire le operazioni di guerriglia, soprattutto attraverso i sequestri.
Nel caso specifico, ufficialmente non risulta sia mai stato chiesto un riscatto, soltanto la «fine delle persecuzioni» da parte delle truppe regolari; ma in precedenti occasioni analoghe per rilasciare i propri ostaggi il movimento insurrezionale ha sempre preteso forti somme, anche nell’ordine di alcuni milioni di euro.
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