Filippo e i suoi fratelli in trionfo Oro all’incredulo ranista Terrin

nostro inviato a Budapest
Non c’è oro senza quel pizzico di follia: ieri si sono messi in cinque, uno più mattocchio dell’altro. Ma ce l’hanno fatta. Record europeo (7’09"60) per i quattro staffettisti della 4x200, cinquantesima medaglia per Max Rosolino, quarta della collezione di Filippo Magnini in questo europeo, quarto titolo consecutivo per l’amata compagnia dei duecentisti, gente che sa dettare legge e sta in scia ad australiani e americani. Straordinari ed esaltanti. Vittoria in coabitazione per Alessandro Terrin, veneziano, è nato a Dolo, ventuno anni e un viso da attore cinematografico, fisico da colosso, come dice Max Rosolino. Vittoria con il brivido e nel segno dell’imprevisto: Terrin è ranista da gare folgoranti, in 50 metri ti giochi tutto. Finora gli era sempre mancato l’ultimo guizzo. «Stavolta ha provato a dar la capocciata al muro come mi insegna il mio allenatore». Ed è andata. Il muro è la placca contro cui appoggiare le mani, bisogna essere veloci, andare a sbattere più che poggiare.
Successo in coabitazione (stesso tempo al centesimo 27"48) con Oleg Lisogor, l’ucraino multidecorato, campione della specialità per la terza volta. In gara c’erano tre campioni del mondo: Terrin non ha mollato un metro ed ha fatto venire il mal di cuore a tutti quando si è trattato di toccare. Ma stavolta il veneziano delle Fiamme gialle ha acchiappato la medaglia che l’ha ripagato di qualche sacrificio godereccio. Quest’anno si è trasferito a Roma: in tre mesi è stato costretto a perdere 12 chili, anche se addosso gliene sono rimasti cento. Ne è valsa la pena. Raccontava: «Quando ero a casa magari facevo quattro colazioni, mangiavo tramezzini a pranzo, poi veniva l’ora dell’aperitivo: dalle nostre parti gli spriz vanno giù come l’acqua». Difficile trovare equilibrio per uno che nuotava ma diceva «che barba il nuoto». Perdeva e pensava a mangiare. Tipo stravagante in tutto: tifa Milan («ero abbonato alla Fossa dei leoni») ma il suo idolo è Bobo Vieri. Si carica prima di ogni gara ascoltando due canzoni di Ligabue: «Balliamo sul mondo» e «Leggero». «Una dice: non avremo classe, ma abbiamo gambe e fiato finché vuoi. Mi ci vedo. Ascoltando l’altra penso, invece, ai miei 100 chili. Perfetto, Ligabue ha fatto tutto bene. Peccato sia interista».
Cambio di quadro ed ecco i quattro staffettisti che si riprendono il trono affondando inglesi, greci e francesi. Vittoria lanciata dai 200 metri di Rosolino che sembra un diesel sicuro e veloce (1’47"16). Cambio per lo sprint vincente di David Berbotto, tipo lunatico, segno del cancro, ex campione juniores di triathlon e pentathlon, che si mangia Burnett, uno dei top della stagione. I metri sicurezza arrivano da Nicola Cassio, triestino amante della velocità su strada (di recente ha perso diversi punti sulla patente per «testare» un’auto), che vorrebbe guidare una formula uno e mangiare sempre wurstel. Gran finale con Magnini che nuota in sicurezza eppur ottiene il miglior tempo (1’47"01). «Questa è la ciliegina sulla torta del mio europeo», racconta Rosolino.

Che poi regala a ciascuno il suo: «Berbotto è un leone, Cassio un gladiatore, Magnini straordinario». E a se stesso riserva un pensiero intimista: «Se oggi mi guardassi allo specchio, direi: mi sono piaciuto». Com’è piaciuto a tutti.

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