«Il film su Prima linea è ipocrita: dopo gli omicidi Segio esultava»

Milano«No, le cose non andarono così. E soprattutto loro non erano affatto come li fa vedere il film. Questa sofferenza, questo tormento interiore dopo ogni delitto... Ma quando mai? Dopo avere ammazzato la gente andavano a festeggiare».
Sullo schermo del cinema scorrono le immagini di La Prima Linea, il film sul terrorista rosso Sergio Segio. In una poltrona in fondo alla platea, c’è uno che Segio lo ha conosciuto da vicino. E che lo ha arrestato, piantandogli un mitra M12 alla gola e trascinandolo via su una R4 scassata, requisita lì per lì a un professore di passaggio. Era il 15 gennaio del 1983, a Milano. Il brigadiere con l’M12 si chiamava Giuliano Tavaroli, aveva ventiquattro anni, ed era uno del mucchio selvaggio agli ordini del colonnello Bonaventura («eravamo in venti, ed eravamo abbastanza») che dava la caccia ai terroristi rossi.
Oggi Tavaroli è un esperto di sicurezza, diventato suo malgrado famoso per l’inchiesta sulla security di Telecom, che lo ha portato in carcere e oggi sotto processo. In platea si muove, brontola, si agita, si incavola. Quegli anni li ha vissuti dalla parte dello Stato. Il film, ammette Tavaroli, qualcosa l’azzecca. Certo, le assurdità ci sono. Segio che chiama la sua donna, Susanna Ronconi, usando il telefono di casa: «Magari fossero stati così scemi». O Segio che va in giro con la sua auto, «macché, si muovevano solo in tram». Ma le armi erano più o meno quelle. Le auto erano quelle. Anche i covi erano così: «Delle stamberghe puzzolenti, quando facevamo irruzione c’era da turarsi il naso». Insomma, il clima era quello. Ma ci sono incongruenze e piccole indulgenze che a Tavaroli non vanno giù. «Perché non fanno vedere che quando vanno ad ammazzare il giudice Alessandrini, Segio si prende la briga di dargli anche il colpo di grazia? Perché non ci dicono che quando lasciano Prima Linea e si sparpagliano, continuano ad uccidere e a fare rapine? Fanno vedere come Segio fece evadere Susanna Ronconi. Ma non dicono che quando io e gli altri riusciamo a riprendere la Ronconi la becchiamo insieme a Sacco Lanzoni, uno che per rapinare una banca a Siena ha ucciso tre carabinieri. Due avevano solo diciannove anni, e anche a loro tirarono il colpo di grazia».
A Segio, Tavaroli dava la caccia insieme a un altro giovane brigadiere finito oggi sui giornali: Marco Mancini, numero due del Sismi. «Per noi della squadra, acchiappare Segio era un must. Lo stavamo per prendere già qualche mese prima, invece Mancini si schiantò con la macchina e fu la nostra fortuna, perché - ma questo lo abbiamo saputo dopo - erano armati fino ai denti, e avremmo fatto una brutta fine. Il Dio degli sbirri ci salvò la vita».
Lo acchiappano in una mattina di gennaio. Nel film, la cattura di Segio è un blitz rapido ed efficiente. Nella realtà fu un casino. «Ci arrivammo seguendo la Figini Daniela, una cui avevamo lasciato il guinzaglio lungo. La Figini prende sotto braccio questo tizio elegante, con la giacca misto cachemire. Io dico a Mancini: è Sirio, che era il nome di battaglia di Segio. Cosa facciamo?, mi dice lui. Be’, lo prendiamo, no? Gli saltiamo addosso. Un coniglio. Alzò di scatto le mani al cielo, sembrava Tiramolla, gridava “mi arrendo, mi arrendo”. La Figini si mette a urlare, dà persino uno schiaffo a Mancini facendogli volare gli occhiali. Pignoriamo una R4 e lo portiamo in caserma insieme a Titti e Zampa». Sono i nomi di battaglia di altri due brigadieri, ragazzi dell’Arma che vivevano per quella caccia, e la cui storia forse andrebbe prima o poi scritta anch’essa. «“Ero sicuro che mi avreste ammazzato”, ci diceva Segio. Ma noi non eravamo fatti così».
E i terroristi non erano fatti come li fa vedere il film. «Li seguivamo, li conoscevamo, parlavamo con loro. E quello che è intollerabile in questo film, la falsità più grave, è questo clima sofferto, questa angoscia che precede e segue gli ammazzamenti. Invece era tutto il contrario. C’era l’esaltazione del militarismo e della violenza, si gasavano assassinando». Un altro piccolo dettaglio, un attimo del film, fa arrabbiare Tavaroli: è quando Segio fa vedere a un compagno la sua prima pistola, dice che è il regalo di un vecchio partigiano. «È un falso, ed è grave. Se c’è una generazione di terroristi cresciuta nel culto della Resistenza, in contatto con i vecchi partigiani come Lazagna, è quella iniziale, quella della fine degli anni Sessanta.

Invece Segio e quelli come lui arrivano dopo, quando ormai è chiaro a tutti che in Italia non ci sarà nessun colpo di Stato, che anzi il Paese sta cambiando in meglio, che gli spazi di democrazia si stanno allargando e non restringendo. Erano dei fanatici delle armi, degli esaltati, dei macellai. Tutto qui. Se un giorno vorrò spiegare a mia figlia che cos’era il terrorismo, di certo non la porterò a vedere questo film».

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